The Strange Flowers – Songs for Imaginary Movies

LP
Aprile 2020
Tiratura: 300 copie

Formato: Tag
Etichetta: Area Pirata

15.00

6 disponibili

The Strange Flowers – Songs for Imaginary Movies

Gli Strange Flowers tornano dopo 5 anni per il loro ottavo album, con il nucleo ori-ginale della band (Michele Marinò, Giovanni Bruno e Alessandro Pardini), più il batterista Valerio Bartolini.

Songs for Imaginary Movies è una pubblicazione molto fresca ed elegante, che ri-porta la band alle sue radici visionarie, psichedeliche o pop-psichedeliche, con at-mosfere che vanno dall’oscurità alla luce, dai colori al bianco e nero.

I ragazzi di Pisa vanno oltre i luoghi comuni del revival degli anni ’60 e fanno un al-tro passo avanti nella modernità, con lo stile unico che ha caratterizzato la loro no-tevole carriera, lunga oltre 30 anni.

L’album include 11 brani originali nell’elegante versione in vinile gatefold, oltre a due bonus track nella versione in CD.
Considerati uno dei gruppi più originali e rappresentativi della scena psichedelica in Europa, gli Strange Flowers hanno realizzato quello che è probabilmente il loro migliore album di sempre.

Una produzione di grande valore sotto ogni punto di vista: songwriting ispirato, te-sti affascinanti, una performance solida e convincente, arrangiamenti ricercati e visionari, ed una elegante copertina. Un must assoluto!

Consigliato:

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Recensioni:

All’ottavo album la band pisana conferma, ancora una volta, di essere una delle band più interessanti e in progress della scena neo psichedelica mondiale (per quanto il termine sia, nel loro caso, ormai piuttosto riduttivo). Le radici sono sempre nell’universo 60’s (tra Syd Barrett e l’ampio spettro freakbeat) ma l’approccio è personale, distintivo, creativo, moderno. Album di primo livello.

Antonio Bacciocchi – RadioCOOP 02/04/2020

Malgrado i tempi, i fiori tornano a sbocciare. Solo in serra al momento, che l’edizione fisica di Songs for Imaginary Movies quantunque io la stia stringendo fra le mani, sarà distribuita solo successivamente.

Intanto, anziché ascoltarlo gratuitamente, potete scaricarlo con un modestissimo contributo dal sito di Area Pirata, contribuendo a finanziare chi in attesa del vaccino distribuisce uno dei farmaci più efficaci del momento, che è quel che sapete se state leggendo qui e ora.

Dunque dopo averci promesso un paio di anni fa che, a dispetto di trent’anni di carriera il meglio era ancora là da venire, il gruppo toscano mantiene il patto, porgendo un vassoio di leccornie che non immaginate neppure.

Una di queste è ad esempio A Little Pain, canzone dalla duplice anima che svolazza come l’uccello acido di Robyn Hitchcock per poi lievitare su una nuvola elettrica come quelle che circondavano la dimora di Zeus.

Un’altra, subito in coda a questa, si intitola Cure Me ed è uno strabiliante torrente di acque piovute proprio da quella nuvola lì, che ti afferra per i piedi e ti trascina via. E che alla fine della sua corsa si lancia dal precipizio in una cascata maestosa come Children of the Drain.

Poi magari in queste “stormy waters” ci gettate una lenza ed ecco che attaccata all’amo vi ritrovate una ballata barrettiana come B.B. Runs, uno stivale con le zeppe come Supermodel che qualche comparsa di Velvet Goldmine deve aver gettato tra le acque o una lunga biscia marina sfuggita dall’acquario di George Harrison come Heal.

O magari vi ci buttate voi, nuotando a dorso per sfidare la corrente, come in Anymore. O provate a tenere a galla usando la carcassa di un clavicembalo come zattera, facendo riposare i muscoli prima di reimmegervi ancora e ancora.

Lys Di Mauro 02/04/2020

Due anni fa i pisani Strange Flowers celebrarono i loro 30 anni di attività con un doppio cd antologico intitolato “Best Things Are Yet To Come“, segno che non intendevano né eclissarsi né vivere soltanto del passato. Un passato, va detto, che ci ha regalato ottima musica psichedelica, ma che avrebbe meritato un riconoscimento ben superiore a quello fino a ora raccolto, destino comune a troppi. In quel disco comparivano alcuni inediti nei quali, come in un eterno ritorno, dopo vari cambi di formazione si ricomponeva la formazione originale, quella che vedeva accanto al frontman Michele Marinò, voce e chitarra ritmica nonché autore di quasi tutti i brani, Giovanni Bruno alla chitarra, Alessandro Pardini al basso e Maurizio Falciani alla batteria.
Ed è con questa formazione, ma con alla batteria Valerio Bartolini, che la band ha registrato “Songs For Imaginary Movies” (2020), uscito ai primi di aprile su Area Pirata, per il momento solo in digitale, vista la situazione di emergenza attuale che ha finito per rendere ancora più complicata la distribuzione dei supporti fisici, ma che in un prossimo futuro vedrà il disco uscire anche in vinile e in cd, quest’ultimo con due tracce in più. Chi conosce la band sa che la psichedelia di Marinò&co. attinge al pop psichedelico inglese degli anni Sessanta, band come Tomorrow, Kinks e i primi Floyd sono fonte primaria di ispirazione, rilette però con sensibilità personale e tenendo presente quel che è accaduto nella musica nel corso dei decenni.
Allora non resta che affidarci alle nostre orecchie e vedere quali strani fiori iridescenti i Nostri abbiano allestito come colonna sonora per questi tredici film immaginari. L’inizio è sferragliante con un riff sporco che ricorda The Guns of Brixton dei Clash, Song of Jungle però implode presto nell’elettricità narcolettica delle chitarre e del canto e nel pulsare della sezione ritmica. Sonorità britpop invece per la bella ballata Blue, intrisa di nostalgia e che man mano che va avanti diventa sempre più sghemba. A Good Pain sposa lisergici colori solari fra Beach Boys e Pink Floyd con una splendida coda finale di chitarre in fiamme che precede Cure Me, ideale colonna sonora per scorrazzare in Harley Davison fra deserti e baie della California sognando gli anni Sessanta.
Heal è una lunga e molto stonata ballata ipnotica dentro i meandri della nostra psiche disturbata e B.B.Burns duetta col fantasma di Syd Barrett e sonorità orientali, come accade anche nella notturna e malinconica The Girl with the Moon in Her Eyes. Ma inutile annoiare con l’elenco, “Songs For Imaginary Movies” è un signor disco, una delle cose migliori che possa capitare di ascoltare oggi nell’ambito della neopsichedelia e, visto che non possiamo uscire dal nostro guscio casalingo, può essere l’ideale guida per condurci in incredibili e sorprendenti viaggi interstellari fra Orione e il nostro il nostro impianto stereo.

Ignazio Gulotta – Magazzini Inesistenti 17/04/2020

 

Cinque anni dopo “Pearls At Swine” – tra cambi di formazione, pause riflessive e ripartenze entusiastiche – c’è ancora vita nei territori Strange Flowers.
Gli eroi pisani della stagione neopsichedelica italiana, nati artisticamente nel 1987, rientrano in piena attività in questo sciagurato 2020 con “Songs For Imaginary Movies”, sempre per la benemerita label (pisana) Area Pirata, e lo fanno con 2 belle edizioni in tiratura limitata: una gatefold in vinile con 11 tracce e una in cd con 2 tracce bonus.
E per fortuna – dico io – perchè in questi tempi sospesi di incertezza totale la musica degli Strange Flowers è una manna dal cielo carica com’è di luce e colori (“colorful group” li definì una volta il guru Timothy Gassen), di movimenti plastici e sogni iridescenti, di immagini liberatorie e sonorità che stemperano le attese in coda, l’irrequietezza dilagante, gli incubi notturni.
Il quartetto si riforma attorno al nucleo originale composto da Michele Marinò (chi/vo), Giovanni Bruno (chi/vo) e Alessandro Pardini (ba) con l’aggiunta di Valerio Bartolini (bat) e si siede in cerchio attorno al fuoco in cerca di ispirazione. E qua, in questo nuovo album, ce n’è davvero a pacchi in ognuna delle canzoni, ma declinata secondo il principio di sobrio equilibrio tra vecchi e nuovi input, così da risultare, oggi, una band ancora attraente e mesmerica dopo essersi reinventata al netto di metamorfosi imbarazzanti.
Come nella vita anche nell’arte di comporre musica gli Strange Flowers alternano tempesta a quiete: momenti caleidoscopici di chitarrismi frenetici e possenti incrociano ballate folk/bucoliche di grande intensità emozionale per trasformarsi subito dopo in istantanee soniche (proto) Brit e (proto) Grunge dal retrogusto sinuosamente 60’s, con una vetta di assoluta eccellenza evocativa come “Heal”.
“Songs For Imaginary Movies” per tutto questo, e molto altro, meriterebbe di piazzarsi tra i migliori album italiani del 2020 – l’anno in cui il mondo si è capovolto – stravolgendo ogni pronostico come in un sogno di Timothy Leary.

Ascolta: “Cure Me”, “Heal”, “Apocalypse”, “Stormy Waters”, “Children Of The Drain”.

Davide Monteverdi – Razzputin Crew Milano 17/04/2020

Strange Flowers. Sono sicuro che la maggior parte di coloro che stanno leggendo non sanno chi siano. Il nome potrebbe essere consono a quello di una band, e infatti avete indovinato. Sono un gruppo pisano dedito principalmente, ma non solo, alla coltivazione dei coloratissimi orti della progressive rock music. E nel loro “campo” sono una celebrità, sono infatti classificati dalla critica specialistica tra i migliori. Io non sono un critico musicale, a chi vuole approfondire propongo le recensioni di Reverendo Lys, sul suo blog personale, o di Ignazio Gulotta sulla rivista “Magazzini inesistenti”. In questi giorni è uscito il loro ultimo lavoro dal titolo “Songs for imaginary movies” ma, ripeto, non ne parlerò in termini strettamente musicali, piuttosto sono stato incuriosito dalla storia trentennale di questi “insoliti fiori” con le radici ben piantate a Pisa ma con le teste/corolle che si allungano nel mondo.

Ne parlo, debitamente a distanza, con uno dei fondatori, Alessandro Pardini, da questo momento Ale, nato nel 1967, bassista del gruppo ma anche grafico, suoi sono infatti i video promozionali, e tecnico di registrazione e mixaggio. Sì, perché questo disco è stato fatto letteralmente “in casa”, trasformando la sala prove in un piccolo studio attrezzato e lavorando spesso di notte, precedendo di molti mesi l’#iostoacasa oggi divenuto famoso. Solo il master finale ovviamente è stato fatto in studio. Intanto va detto che dei tredici pezzi del CD (solo 11 nella versione Lp) solo due sono veramente “nuovi”, gli altri sono pezzi scritti in passato e rivisti alla luce delle nuove sensibilità.

Il gruppo ha festeggiato i 32 anni di attività e per il trentennale, due anni fa, è stato prodotto un doppio dal titolo “Best things are yet to come” dai sottotitoli (First, Second and Third Republic) che la dicono lunga sulla loro longevità artistica. Il doppio è un piccolo scrigno che contiene 15+15 dei loro pezzi storici, un bignamino delle loro passate esperienze e produzioni, con le segnalazioni e le foto, spesso in bianco/nero e/o ingiallite, di tutti i protagonisti di questo incredibile percorso.

Sono nati nel 1987 e Alessandro ne è stato uno dei fondatori, ma nel tempo sono cambiati musicisti e stili, in una girandola vorticosa che si è avvolta su se stessa. La formazione dell’ultimo lavoro è infatti per tre quarti quella delle loro origini, composta da Michele Marinò, chitarra e voce frontman, il trade union delle varie formazioni che si sono succedute, Giovanni Bruno, chitarra, Ale, basso e altri strumenti. Il quarto, alle percussioni, si chiama Valerio Bartolini ed è il “ragazzo”, poco più che trentenne, subentrato due anni fa alla vigilia della tournè in Germania, facendo un azzardato parallelo con Ringo Starr.

È proprio la longevità di questo gruppo che mi ha incuriosito perché non è la solita band popolare, magari famosissima, che è sulla breccia da molti anni o che si inventa una reunion, spesso per motivi dettati dal commercialista. Non è neanche una band che, sia pure negli anni, continua a suonare per “lavoro”, come succede nel mondo dell’italico liscio. Gli SF sono una band che ha fatto della passione per la musica, e i suoi corollari, uno stile di vita. Tutti hanno un lavoro. Marinò è un medico, Bruno è un professore di Filosofia alla Scuola Superiore, Ale è un artigiano/socio della sua azienda. Valerio insegna batteria in una scuola musicale pisana, a suo modo è l’unico che si mantiene grazie alla musica. È proprio per l’esistenza di questo confine fra il professionismo e l’amatoriale, difficile da superare, che Ale, per esempio, dovette lasciare il gruppo ben presto, già nel 1989, coltivandone però per tutti gli anni i contatti amicali. Suo motivo d’orgoglio è aver creato uno dei pezzi simbolo del gruppo, nel 1988, quella
Strange Girl” che, variamente arrangiata negli anni, chiude quasi sempre i concerti. Ale nasce come chitarrista ma poi, ancora giovanissimo, con il suo gruppo di allora, a una festa di beneficenza, è costretto a imbracciare il basso e da allora, dice, ha “visto la luce”. Basso for ever, un po’ come Paul Mc Cartney dei Beatles, che del resto è anche uno dei suoi gruppi ispiratori, ma vabbe’ qui si va sul sicuro.

Gli SF sono famosi più all’estero, mi dicono, soprattutto in Germania, anche per i loro testi in inglese, e gli chiedo perché preferiscono sciacquare i loro panni nel Tamigi. Mi risponde che scrivere in italiano per questo tipo di rock non è facile, e poi il loro universo musicale è soprattutto british. Ale “vive” di musica, nel senso che se ne circonda, non nel senso che è il suo lavoro. È faticosissimo conciliare la realtà quotidiana con la musica, la famiglia, il lavoro, gli amici. Lo “stridio” si avverte soprattutto in occasione delle tournè, svolte in pochi giorni, con mezzi propri, spesso all’estero, almeno quello più vicino: Francia, Spagna, Germania. Tutto faticosissimo ma vitale, delle vere e proprie zingarate musicali, con viaggi al limite dell’avventura, location e notti improvvisate. L’impatto con il pubblico fa però dimenticare tutta la fatica; il sudore e l’adrenalina si fondono in un mix salutare. Quando mi racconta qualche aneddoto non posso fare a meno di ripensare alle immagini dei Blues Brothers e dei Commitments.

Concludo chiedendogli cosa pensa che sarà della musica DC (Dopo Corona), alla luce di quello che sta succedendo in questi tormentati giorni. Dice che non lo sa, nessuno può prevedere veramente cosa accadrà, la musica si nutre dei corpi ed è vicinanza, difficile immaginarsi una situazione “asettica” al riguardo. Dovranno cambiare anche i locali che ospitano la musica, la frequenza delle date, dei tour, tutto. Ale spera, come tutti noi, in un vaccino “libera tutti”, ma il suo pensiero è al presente, a tutti quelli che lavorano con la musica e che traggono da essa un reddito; non solo musicisti ma tutti i lavoratori dello spettacolo e dei mondi limitrofi. E pensa anche a quegli altri che come lui vivono della musica e che oggi sono condannati a fare tutto in casa, senza palco, senza folle, senza prove vere, senza adrenalina.

Giuseppe Capuano – L’Arno.it 18/04/2020

A cinque anni di distanza da “Pearls at Swine“, seppure inframmezzati dal doppio cd antologico “Best Things Are Yet To Come” che celebrava i trent’anni di carriera, gli Strange Flowers tornano con un nuovo album di canzoni originali (11 nella versione LP e 13 in quella cd) che lascerà più che soddisfatti quanti amano la neo-psichedelia in tutte le sue sfaccettature. Questo perché “Songs For Imaginary Movies” si presenta come uno dei vertici della discografia del gruppo pisano guidato dall’abile songwriting di Michele Marinò che in questo nuovo disco riesce, senza mai sembrare derivativo, a miscelare con sapienza i suoni cari a Syd Barrett, così come quelli messi in scena da nomi altrettanto altisonanti come quelli di Robin Hitchcock, Terdrop Explodes e magari poco conosciuti, ma altrettanto validi come quello degli Steppes.
Sin dall’iniziale “Song Of The Jungle” caratterizzata da riffs di chitarra poco lineari, il disco mostra di avere gli attributi giusti spaziando da delicate ballate come “Blue” a brani decisamente pop come “Supermodel” o eccessivamente distorti come “Cure me“. Volendo è possibile anche trovare all’interno di queste immaginarie colonne sonore ballate lisergiche come “B.B. Runs“, la più barrettiana del lotto, accanto ad echi della musica di George Harrison che appare come chiara ispirazione in “Heal“. La qualità di questo disco risiede a mio avviso nella capacità di mantenere alto il livello di attenzione nell’ascoltatore che difficilmente potrà trovare all’interno di “Songs For Imaginary Movies” brani di livello inferiori a quelli precedentemente ascoltati, man mano che la scaletta scorre. Accanto al già citato Michele Marinò la formazione degli Strange Flowers presenta altri due membri della formazione originale: Giovanni Bruno alla chitarra e Alessandro Pardini al basso, mentre la batteria è affidata all’ultimo innesto Valerio Bartolini. Presente come ospite Emma Cionini che affianca Marinò al canto in due brani (“Heal” e la conclusiva “Jingle Jangle Morning In The Other Space“) che ne impreziosiscono il risultato finale. Nota finale riservata ai due brani che arricchiscono la versione cd dell’album: “Stormy Waters” sembra essere uscita dal catalogo dei migliori Oasis, mentre “Children Of The Drain” profuma sorprendentemente di post-punk.
In definitiva possiamo affermare senza ombra di smentita che “Songs For Imaginary Movies” è uno dei migliori album e più ispirati mai usciti dal catalogo di Area Pirata Records, e probabilmente lo è anche dell’intera produzione di The Strange Flowers che si confermano come uno dei gruppi più rappresentativi della scena neo-psichedelica italiana e non solo, grazie alla superba qualità della scrittura di queste canzoni estremamente ricercate negli arrangiamenti e nella loro esecuzione. Da ascoltare assolutamente.

Eliseno Sposato – Sotterranei Pop 05/05/2020

Come diceva – saggiamente? – Lux Interior il momento in cui ascolti meglio la musica è quello nel quale viaggi in macchina. E la dimostrazione che il nostro vate avesse pressoché sempre ragione l’ho avuta con questo nuovo album degli Strange Flowers.

Chi mi segue sa quanto adori il combo pisano e – conseguenzialmente – quanto mi aspetti da un loro disco. E’ per questo motivo che appena arrivatomi a casa l’agognato pacchetto con le novità di Area Pirata sia stato il loro il primo album a finire sul piatto.

Ma è stato un ascolto forse troppo precipitoso e affrettato tanto da lasciarmi un po’ freddo, e a me loro non mi hanno mai lasciato freddo, tutt’altro. L’ho quindi momentaneamente accantonato ed ho atteso fino ad oggi per scrivere le mie impressioni; ho aspettato di assimilarlo per bene e sono giunto ad una conclusione : è un discone, come sempre.

La formula vincente della band è maturata negli anni, facendo del quartetto toscano una vera e propria sicurezza. Il loro mix di psychedelia, pop, paisley underground, shoegaze e lirismo non può che toccare il cuore di chiunque ne abbia uno pulsante e ricettivo.

Citare un pezzo anziché un altro è , più che in altri casi, drammaticamente restrittivo; mi sono così imposto di ridurre il campo a quelle che ritengo essere le tre vette di un album che, comunque, dev’essere gustato nella sua interezza.

La prima perla è A Little Pain dove i Teardrop Explodes – ed anche il Julian Cope solista – incontrano i Dream Syndicate di Medicine Show, la seconda è B.B. Runs nella quale si odono gliSteepes meno acidi o gli Optic Nerve e la terza è Stormy Waters – in assoluto il mio pezzo preferito – un brano torrenzialmente pop che solo i primi Oasis erano in grado di produrre.

Come di consueto una nuova uscita degli Strange Flowers riduce ad altri nove gli album che compariranno nella mia top ten annuale; basta per dirvi quanto li ami?

P.S.: E non venitemi a dire che voi quando guidate – sopratutto percorrendo lo stesso identico itinerario – siete concentrati sul traffico perché, ne son certo, tutti o quasi hanno un pilota automatico che li porta sani e salvi a destinazione.

Luca Calcagno – InYourEyes ‘zine 30/04/2020

 

“Songs for imaginary movies” è il nome perfetto per l’ottavo album degli Strange Flowers, targato Area Pirata. La band neo psichedelica pisana (attiva dal 1987) non ama guardarsi indietro e nella sua seconda vita iniziata 17 anni fa e costellata di alcuni cambi di formazione – anche se qui i ragazzi si ripresentano con il nucleo praticamente originale – ha dimostrato di sapersi sempre reinventare, senza perdere il proprio tocco “magico”. E questo nuovo disco ne è uno splendido esempio. Gli undici brani in scaletta (più due bonus per la versione cd) scorrono limpidi e avvolgenti come un Margarita ghiacciato, bevuto a bordo vasca e hanno una carica onirica unica, che li fa sembrare davvero la colonna sonora di un film. Ci sono i rimandi alla psichedelia anni Sessanta, chiaramente, ma non mancano neppure i punti di contatto con il power-pop della origini (alla Big Star, tanto per capirci): quel suono malinconico ma dannatamente rock, che ti ammalia subito con le sue melodie liquide e ricercate. D’altra parte gli Strange Flowers sono un gruppo che fa le cose per bene e che cura nei minimi dettagli ogni pezzo (gli arrangiamenti sono uno dei punti di forza del disco). La freschezza di “Song of the jungle” fa da contraltare alla psichedelia di “Heal”, il garage (quasi funk) di “Supermodel” va a braccetto con il folk di “The girl with the moon in her eyes”. Un album che colpisce subito al cuore e che si fa amare sin dal primo ascolto

Diego Curcio – Huskercore blog 09/05/2020

Dopo cinque anni in cui ci avevano lasciato a digiuno, gli Strange Flowers tornano con un nuovo disco: l’ottavo, per chi ama la precisione. Canzoni per film immaginari, ma in realtà perle psichedeliche che funzionano benissimo anche da sole, tanto che il film è facile farselo da soli, lasciando fluire e fluttuare l’immaginazione scatenata dalla loro elegante tempesta sonora. Difficile scegliere un pezzo in particolare, dato che ogni singolo episodio colpisce per freschezza, andando a costituire un mosaico, quasi un fantastico arabesco. Egregie Song of the Jungle e Blue, necessario il pop di A Little Pain (qui Syd Barret batte un colpo e dà un calcio in culo a quel borioso di Gilmour), partorita dal “primo” Julian Cope pare Cure me. Più brit pop (in senso buono) Supermodel. E pensare che a Pisa, lungo l’Arno, c’è gente che suona la vecchia psichedelia inglese meglio di come la suonano gli inglesi oggi…. Non si finisce mai di imparare. Acquisto doveroso.

Marlene Diti – Trippa Shake Webzine 09/05/2020

Un viaggio interessante è quello che propongono gli Strange Flowers; un viaggio che parte da lontano, dalle zone dimenticate e nascoste della nostra personalità, messe a dura prova da questo recente periodo di lockdown ed isolamento, per poi attraversare diversi decenni di musica pop, rock e psichedelica – dalle albe lisergiche degli anni Sessanta fino ai festosi assembramenti serali del britpop degli anni Novanta – e giungere da qualche parte nel misterioso universo che ci ospita e sovrasta. Chiudere il cerchio, aprire gli occhi e ritrovarsi esattamente al punto di partenza, in un club underground della nostra città o magari a camminare, a piedi scalzi, lungo il bagnasciuga che separa il “dentro” ed il “fuori” delle nostre coscienze, mentre il sole viene ingoiato dalle profondità più oscure e profonde del mare.

Ogni tappa di questo disco – dalla solare “A Good Pain”, alla suggestiva “Blue”, alla meditativa “Heal”, alla tenebrosa “The Girl With The Moon In Her Eyes”, fino a giungere alla liberatoria “Cure Me” – è un invito a spingersi più a fondo nel proprio io, a liberarsi di tutto ciò che ci appesantisce e turba; è un invito ad affrontare il passato senza cadere in spirali di negatività e malinconia, servendosi del potere terapeutico della musica per ritrovare la voglia di vivere, di mettersi alla prova, di ricostruire dopo l’ennesimo fallimento, di avere il coraggio di ammettere le proprie colpe o i propri errori.

Quindi, nonostante l’indubbio fascino e l’attrazione fatale che le sonorità psych-rock esercitano sulla band italiana, è evidente che è tutto molto introspettivo e personale, oltre ad essere visceralmente attuale. In fondo, chiunque di noi potrebbe ritrovarsi a provare le medesime emozioni degli Strange Flowers; potrebbe ritrovarsi a ripercorrere il proprio passato, per poi affrontare, con più energia e spirito costruttivo, il proprio futuro; in pratica “Songs For Imaginary Movies” riesce a connettersi alle storie individuali dei singoli ascoltatori, a far presa sulle loro menti assopite e dare loro la sferzata necessaria per svegliarle ed indurle a dubitare, a rivedere criticamente le certezze acquisite, ad avere voglia di osservare e conoscere ancora di più. Intanto il disco scorre con piacere, anche grazie al suo essere musicalmente eterogeneo ed alle sue diverse anime, che lo rendono, allo stesso tempo, visionario e realista, nostalgico e propositivo, rassicurante ed avventuroso, nonché pieno di contaminazioni e sperimentazioni, che ne fanno un lavoro attraente e meritevole di più ascolti.

Mik Brigante Sanseverino – PARCO PARANOICO : Music, Records & Blog 17/05/2020

Dopo esattamente un lustro The Strange Flowers tornano con una nuova release (l’ottava), costruita attorno alla ritrovata line-up originale. La nuova fatica, pubblicata da Area Pirata Records, rinnova la psichedelica visionarietà dicotomica della band, mostrando un continuo alternarsi di atmosfere divergenti.
L’album, pubblicato in vinile e digipack, mostra una perfettibile struttura estetica definita da una back cover forse troppo minimale, una font perfettibile e un artwork interessante ma, a dire il vero, poco strutturata. Convincente, invece, appaiono le foto session e… la musica. Infatti il Quartetto offre, a chi ama la cosiddetta pop psichedelia, I battiti della nuova creatività pronta a muoversi con Song of the jungle, piacevolmente pinkfloydiana nella sua struttura, giocata sulle linee armoniche ben assestate, sampler e profondità. Ma è solo l’inizio.
La setlist riparte con i filtri vocali di Blue, in cui le evidenze di una bass line accorta, accompagnano un andamento pop, per giungere ai giocosi riffing di a A little Pain, probabilmente una tra le tracce più interessanti del full lenght. Il sound, ricco di venature retrò, sembra voler costruire il suo narrato con animosità rock (Supermodel) e psychedelia accessibile (Apocalypse), dalla quale la band pone i blocchi di partenza per un ottimo outro: Jingle jangle morning in outer space. La composizione conclusiva, complice il backing vocals, con i suoi estesi passaggi, offre un piccolo capolavoro contemporaneo, in cui il bilanciamento emozionale riesce a contemplare un easy listening impeccabile.

Insomma, un album in cui trovare ispirazione e groove.

Loris Gualdi – Music on TNT 24/05/2020

The Strange Flowers, storico gruppo rock di Pisa guidato da Michele Marinò, chitarra e voce, di Martina Franca. Il disco, che ha come etichetta Area Pirata, vede i tre componenti fondatori, oltre a Marinò l’altro chitarrista Giovanni Bruno e il bassista Alessandro Pardini, insieme al batterista Valerio Bartolini. In pieno Lockdown, hanno pubblicato il loro ottavo album, Songs for imaginary movies e include tredici canzoni. Per il momento è stato rilasciato solo su digitale perché non è stato ovviamente possibile fare arrivare i cd e i dischi lp ai negozi che sono chiusi. La band ha però annunciato la pubblicazione anche sui supporti fisici non appena sarà possibile.

Fondati da nel 1987, arriva o noi dopo periodi di stop e avvicendamenti vari. Da sempre la band toscana si è mossa lungo un ampio spettro stilistico che va dalla psichedelia fino al pop, passando per il garage.

In questo loro ottavo lavoro Songs for imaginary movies, si traccia una decalogo di quello che è stato il loro percorso musicale che li ha portati ad oggi.

Un album con il giusto volume e i giusti volumi, da ascoltare con calma per lasciarsene avvolgere, quasi al limite del concept. Non vi nascondo che il suo primo ascolto mi ha lasciato quasi indifferente, poi dal secondo, si è insinuato lentamente in me straripando. Un suono di sintesi che non lascia spazio ad equivoci, come no disturbano gli inevitabili richiami stilistici frutto di duro lavoro e inconsce influenze immagazzinate durante il lungo percorso.

La prima traccia Song of the Jungle: ci permette di tuffarci a capofitto in un album da ascoltare tutto di un fiato. Corposa e asciutta abbarbicata a un ritmo da ipnosi tanto caro a QOTSA riscontrabile anche in Heal evidenzia da subito l’ottima forma dei nostri. Blue invece parte in sordina con una chitarra acuta che circoscrive la voce salmodiante, prima di trovare un ritmo fluido come il miele, una costruzione ariosa riempita di chitarre di chiara matrice new wave. In A little Pain, B.B. Runs e The girl whit theMoon in her Eyes inizia a farsi pregnante un aria di psichedelia morbida e altalenante che richiama Stipe e soci prima maniera. Cure Me e Children of the Drain, potenziali hit, se non altro per la loro orecchiabilità, che non sempre è sinonimo di fragilità si lascia benevolmente influenzare da rivoli di Oasis, sia nella costruzione asciutta e sinfonica che nelle liriche ariose e scandite, tipiche della band dei fratelli Gallagher. Anymore e Apocalypse invece, sono i due brani dove meglio si esprime il lato più sporco dei The Strange Flowers. Un suono che si dipana in senso compiuto per tutta la durata dell’album, senza lasciare adito a compromessi e indulgenze, accarezzando quasi sbadatamente trame folk che appaiono e scompaiono dando un aria più globale al suond. The Strange Flowers cantano il nostro tempo con un suone che del nostro tempo ha i tratti fondamentali, quelli sviluppati seguendo le orme dei maestri incontrati durante un percorso artistico pregnante e senza compromessi. Un suond inconfondibile, grazie a suoni di chitarra curati e puliti, a una voce che rinuncia all’estetica per mettersi al servizio del tappeto sonoro arricchito da una ritmica sontuosa, frutto anche di una percezione dei tempi non comune.

Roberto Pati – rockindiemusic.altervista.org – 04/06/2020

I pisani Strange Flowers non si danno per vinti. In otto anni di vita, questo è il loro quinto album, indicativo di una voglia e di un’esigenza comunicativa che non tutti hanno.

“Songs for Imaginary Movies” è stato registrato dal nucleo originale della band, con l’aggiunta del batterista Valerio Bartolini. Il quartetto si muove lungo le coordinate della psichedelia e di alcuni generi che le ruotano attorno. Se “Song of the jungle” verte verso il garage, “Children of the drain”, si allarga verso l’alt-pop. Con “Heal” i pisani dimostrano di non avere nulla da invidiare ai Black Rebel Motorcycle Club e con “Apocalypse” non possono non venire in mente The Heads.

The Strange Flowers rassicurano con l’ottimo rock-psych di “Supermodel” e la ballata rock in crescendo di “Anymore”. Ottimo poi il rock tirato di “Stormy waters” e con “Cure me” ci fanno capire che non si esce vivi dagli anni ’60. Nel complesso un lavoro ben costruito e ottimamente suonato.

Vittorio Lanutti – RockOn.It – 22/05/2020

Riecco gli Strange Flowers, lo storico gruppo psichedelico pisano con alle spalle un’onorata carriera. Forse gli Strange Flowers hanno raccolto meno di quanto meritavano ma, in ogni caso, hanno proseguito imperterriti con grande impegno a diffondere il verbo psichedelico. Il fatto che, a differenza di molti nomi dell’epoca, siano ancora attivi testimonia la loro integrità artistica. Il disco, intitolato “Songs For Imaginary Movies“, si presenta con una copertina molto psichedelica ed è un’ottima introduzione a quanto ascolteremo. Chi ha amato gruppi come i Tomorrow e i primi Pink Floyd, quelli dei brani più psico-pop di “The Piper At The Gates Of Dawn”, troverà pane per i suoi denti. La traccia iniziale “Song Of The Jungle” è tirata al punto giusto con le chitarre elettriche ipnotiche in evidenza. La successiva “Blue” è un frizzante pop-psichedelico mentre “A Little Pain” sembra uscita da una capsula temporale proveniente da ’60. La lunga “Heal” (oltre 6 minuti con le chitarre acide al punto giusto) ci immerge in una dimensione atemporale in cui il tempo sembra essersi fermato. In “B.B. Runs” viene evocato lo spettro di Syd Barrett con il brano che sembra un outtake di “The Madcap Laughs” come anche la stralunata “The Girl With The Moon In Her Eyes”. In definitiva ci troviamo di fronte ad un disco che suona derivativo ma non in senso deteriore. In un panorama musicale a volte troppo depresso come quello attuale ascoltare un disco come “Songs For Imaginary Movies” è una salutare botta di vita.

Vote: 4/5
Cesare Buttaboni – Debaser.it 17/10/2019

13 chansons pour ce 8ème album du quatuor de Pise qui existe depuis 1987. Un album qui est tout à la fois plus Indie ET plus Psychédélique (dans le sens vaporeux, noisy du terme). Comme si le quatuor italien voulait dépasser faire sauter toutes les frontières stylistiques ! En utilisant des sonorités judicieusement moins typées revival ils arrivent à transporter leur musique dans le 21ème siècle sans renier leur passion Néo Sixties !
Un bien bel exploit !
Qui nous fait bénéficier d’un album complet, varié, intelligemment agencé, et assez hors des sentiers rebattus, sans pour autant tomber dans la musique pour zicos et les bizarreries Arty.
J’aime ce groupe depuis que je l’ai découvert je les ai même fais jouer à Grenoble je vous en parle souvent et j’espère arriver à transmettre ma passion pour leur musique, et, une fois encore, je suis sous le charme de leurs chansons.
J’en aime la profondeur, la luminosité et la délicatesse de composition et d’interprétation ! C’est BEAU tout simplement !

Bertrand Tappaz – Chronique 2020 – 04/04/2020 – VOIX DE GARAGE GRENOBLE

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