The Sick Rose – Someplace Better

LP/CD
Marzo 2018
Tiratura LP: 300 copie
Tiratura CD: 300 copie

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Etichetta: Area Pirata

10.00

32 disponibili

The Sick Rose – Someplace Better

Tra le più importanti band nel panorama Garage Punk degli anni ’80 con l’innovativo album Faces, i Sick Rose si sono evoluti attraverso i decenni fino a raggiungere la maturità stilistica di una vera e propria band r’n’r oltre gli stereotipi stereotipi di genere, con lavori acclamati dalla critica come Blastin ‘Out nel 2006 e No Need For Speed nel 2011.

Someplace Better , il settimo album della band pubblicato nel 2018, condensa in 11 tracce tutte le influenze musicali della band: dal raw garage rock dei primi tempi fino al powerpop più raffinato di oggi.

Oltre ad una incessante attività live in tutta Europa, condividendo il palco con gruppi del
calibro di The Lyres, The Stems, The Fuzztones, The Chesterfield Kings, The Nomads per
citarne alcuni, la carriera della band è stata evidenziata da importanti collaborazioni in studio
di registrazione. Nel 2004 l’australiano Dom Mariani (The Stems / DM3) aiuta la band nel
suo decisivo punto di svolta verso un suono pop più sofisticato, producendo gli ultimi due album.

Nel 2017 i Sick Rose incontrano il musicista, compositore e produttore americano Ken
Stringfellow
(The Posies, Big Star, R.E.M.), da questo proficuo incontro nasce Someplace
Better.

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Ed ecco che, in occasione del compimento del loro 35esimo anno di età, i Sick Rose pubblicano un nuovo album in studio!

La produzione per questo settimo album, come detto, è affidata all’americano Ken Stringfellow (REM, Posies, Big Star, Marky Ramone Band).

Per la prima volta i Sick Rose propongono solo nuovi brani originali. Si tratta di 11 tracce che condensano tutte le influenze musicali della band, dal garage rock degli esordi al rock and roll di Shaking Street, fino al power pop che ha caratterizzato i loro ultimi lavori. Il suono a tratti si ispira a sonorità tipiche dei primi anni ottanta ricordando band come Records, 20/20 e Shoes.

SOMEPLACE BETTER è la ricerca costante di nuovi lidi a cui approdare, incuranti di mode e tendenze passeggere, consapevoli di essere sempre nel posto giusto al momento sbagliato!

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Recensioni:

Formatisi nel 1983, la ricorrenza meritava che la storia dei Sick Rose si arricchisse di un nuovo capitolo. Questi trentacinque anni hanno visto la compagine torinese mutare pelle, passando dal sixties garage degli esordi al power pop, con una gradualità invidiabile e mantenendo il rispetto del proprio pubblico grazie a una qualità costante difficilmente riscontrabile nell’ambito, anche a livello internazionale. Prima un paio di uscite che hanno visto la produzione di Dom Mariani (The Stems, Someloves, DM3), uno che nel genere è un’autorità riconosciuta anche al di fuori dei confini australiani entro i quali è nato e cresciuto; ora dietro il banco di regia c’è un altro esperto, questa volta americano e con un curriculum invidiabile: Ken Stringfellow, apprezzato solista, già leader dei Posies, nonché membro dei Minus 5 e dell’ultima formazione dei Big Star, oltre ad essersi distinto per aver accompagnato le tournée dei R.E.M. in qualità di secondo chitarrista e tastierista. Uno che di suoni di un certo tipo se ne intende e si sente: questo nuovo “Someplace Better” è una sorta di summa della carriera dei Nostri, un concentrato di tutte le influenze che dall’indispensabile “Faces” (1986), li aveva visti approdare a “No Need For Speed” (2011), loro sesto album (se non comprendiamo un live limitatissimo), ai quali vanno aggiunti vari EP, tutta roba della quale non si butta via neanche una nota.

Si estrae il disco dalla splendida copertina (alla realizzazione della quale ha contribuito il chitarrista Giorgio Cappellaro) e appena la puntina cala sui solchi di How To Be Your Friend, il brano che inaugura la selezione, si è proiettati nel mondo della Rosa Malata: il riff cattura subito, la voce è potente, chiara. Introduzione perfetta: i ragazzi sono in palla, la strepitosa Anyway è subito lì a certificarlo, suoni e cori sono splendidi. La sequenza dei brani è micidiale, come sempre alla voce Luca Re, alla chitarra Diego Mese (unici membri originali) e sodali: Valter Bruno al basso, il già citato Cappellaro, Alberto Fratucelli alla batteria e harmony vocals, ai quali si aggiungono i contributi di Stringfellow, che apprezziamo soprattutto per gli interventi alle tastiere. Per la prima volta, inoltre, compare anche un brano strumentale (la title track), posto in chiusura. Tra atmosfere più vicine agli esordi (Fortune And Fame, Nobody) e brani più aderenti al nuovo corso (tutte le altre, nessuna esclusa), ci si chiede, come già in passato, cosa manchi a queste canzoni per essere in heavy rotation radiofonica, data la potenzialità che orecchie normalmente attente potranno riscontrare: ponete fine all’ingiustizia, fate vostra questa raffica di perle power pop e ricordate di offrirci una birra per il consiglio al loro prossimo concerto.

Voto: 8/10
Massimo Perolini – Distorsioni 30/03/2018

Sono passati più di trent’anni dall’esordio folgorante che trasformò la Val di Susa in una provincia del garage underground USA, eppure i Nostri sono ancora a pieno titolo in pista con invidiabile grinta ed energia. Abbandonate fuzz guitar e Farfisa, oggi propongono un power pop accattivante che inesorabilmente fa battere il piedino. Le iniziali How to Be Your Friend e Anyway introducono l’ascoltatore nelle atmosfere power rock del disco, che non conosce cali di tensione e che scorre piacevolmente dall’inizio alla conclusiva strumentale Someplace Better. In ogni caso non si possono non apprezzare le capacità di Luca e soci di continuare a produrre un rock dal respiro internazionale, mai banale e provinciale. keep on rockin’.

Gianni Tarello – Rockerilla.com 15/03/2018

 

La band torinese compie 35 anni e festeggia dando alle stampe (per Area Pirata) il settimo album che ne conferma la capacità di rinnovarsi, guardare avanti, con freschezza e spirito artisticamente progressista.
Gli undici brani (per la prima volta tutti autografi), magnificamente prodotti da Ken Stringfellow (personaggio che ha vagato nei fertili campi di nomi come (REM, Posies, Big Star, Marky Ramone Band), spaziano nell’ampio cielo del più puro power pop (Shoes, Records, Raspeberries, Knack ma anche Buzzcocks, Undertones e un tocco dei Clash più pop). Un album perfetto nel suo genere.

Tony Face – Blog 31/03/2018

I Sick Rose stavolta se la sono presa comoda. Ben sette anni separano infatti Someplace Better dal precedente No Need For Speed. Un silenzio discografico addolcito da un unico singolo inedito e da una prescindibile serie di ristampe e di raccolte consacrate all’ormai più che trentennale periodo garage della band torinese, lo stesso descritto con dovizia di particolari da Maurizio Campisi sul suo libro dello scorso anno.

Da quel passato i Sick Rose si sono staccati consapevolmente ormai da tantissimo tempo, creando una frattura con quel pubblico che li avrebbe voluti eternamente armati di fuzz, organo anni Sessanta e coltelli affilati come quelli dei pomodori sanguinari del loro primo fumetto.

Le “nuove” coordinate sono state tracciate da Blastin’ Out già nel lontano 2005 e si concretizzano adesso in quello che è il lavoro più compiuto della loro “trilogia” power-pop. La prestigiosa produzione affidata a Ken Stringfellow (Posies, Game Theory, Big Star, R.E.M. ma anche i misconosciuti e dimenticati Chariot con Javier Escovedo e Pat Fear nel suo CV) non deve distrarre da quello che sono diventati i Sick Rose oggi: una formazione in grado di scrivere canzoni che hanno il dono dell’atemporalità e della classicità. E della familiarità. Nel senso che sono impregnate di quel gusto che sei certo di aver già assaporato cento volte, su cento dischi diversi anche se non sai quando, non sai dove, non sai esattamente se ti sono piaciute ne’ perché, ma le riconosci subito non appena ti stringono la mano, ancora prima che ti dicano il loro nome.

Certo, qualcuno dirà che sanno di pomata power-pop, con tutti quei cori che sembrano leccare la melodia come fosse una fica ben lubrificata. E io non mi sento di contraddirlo. Perché ovviamente stiamo parlando di musica ammiccante. Ricorda molto quella dei Jetz di Den Pugsley e Tony Skeggs e a tratti, soprattutto vocalmente, quella di certi Hoodoo Gurus (come sulle belle Anyway e Sweet as a Punch) e più in generale di tutto il guitar-pop australiano che dagli Stems arriva, a ritroso, fino ai fondamentali Easybeats che mi sembrano a livello attitudinale una delle più grandi influenze del disco, nella sua ostinata e riuscita ricerca del dettaglio perfetto, del riff asciutto, della melodia raggiante da dopo-lavoro.

Someplace Better è insomma l’ennesimo tassello di una formazione in perenne rinascita, tenacemente incernierata al passato ma con gli occhiali da sole ben inforcati per guardare con tranquillità ad un futuro ancora abbagliante. Passando da qui, lasciate un obolo affinché ci regalino ancora dei dischi e delle canzoni su cui sperare.

Franco Di Mauro – MusicLetter.it 10/04/2018

 

I Sick Rose sono, senza dubbio alcuno, uno dei miei gruppi italiani (e non solo) preferiti.

Ho sempre amato la loro musica; li ho adorati agli inizi quando sono stati una delle migliori band garage-revival del mondo, ho approvato incondizionatamente la loro scelta di indurire i suoni quando vollero spostarsi verso terreni più vicini all’hard-punk alla Stooges/MC5 e ovviamente non posso non averli seguiti nella loro attuale versione power-pop, uno dei generi che prediligo in assoluto. Non aspettatevi quindi da me un giudizio obbiettivo su di un loro album dal momento che li incenserei anche se decidessero di registrare un disco con il loro polifonico dell’orchestra di stato di Ulan Bator.

Per fortuna non è quello che accade in questo loro appena uscito Someplace Better che invece ne conferma una volta di più l’indubbia capacità di scrivere canzoni che scorrono alla perfezione lasciando in chi le ascolta una piacevole sensazione di spensieratezza e di appagamento.

La scaletta vede sfilare undici pezzi pressoché perfetti, si va da Anyway dove sembra di ascoltare i migliori Hoodoo Gurus all’ “americana” Fortune & Flame nella quale il pensiero va agli Smithereens o ai Let’s Active, da Frustrated in cui si assaporano echi del loro adorato Dom Mariani a Milk And Honey che del lotto è il pezzo migliore e dove tutto funziona alla grandissima compresa una piccola dose di cullante malinconia.

Ma c’è ancora spazio per strabiliarsi con Childhood Dreams dove si sente balenare un tocco di Barrracudas, con Nobody un brano deliziosamente garage-pop per chiudere con la coda strumentale di Someplace Better. Bersaglio ancora una volta centrato in pieno per la mia adorata rosa malata, una vera e propria sicurezza per un cuore come il mio che ultimamente è stato davvero provato da troppe delusioni ma che grazie a dischi come questo riesce magicamente a ridestarsi. Grazie di esistere!

Voto: 8,5/10
Luca Calcagno – InYourEyes ‘zine 15/05/2018

Someplace Better è il settimo album per i torinesi Sick Rose e arriva in tempo per festeggiare i loro trentacinque anni di carriera con undici brani originali nei quali miscelano garage, rock’n’roll e power pop, per una scaletta che dimostra come si possa giocare con vari linguaggi e negli anni creare una formula personale in costante equilibrio tra energia e melodia, romanticismo (d’altri tempi?) e voglia di divertirsi con il rock senza dar troppo peso alle definizioni.
La presenza di Ken Stringfellow come produttore spiega qualche strizzata d’occhio ai R.E.M. dei tempi che furono, con quel retrogusto malinconico e al contempo mai troppo pesante, il che del resto non guasta all’interno di un lavoro che non abbandona mai una leggerezza di fondo. Leggerezza che non vuol dire superficialità, quanto piuttosto punto di arrivo di una lunga strada che ha visto i Sick Rose alle prese con un’evoluzione costante sin dalla prima metà degli anni Ottanta, quando debuttarono all’insegna del garage rock con l’album Faces.
Le tastiere di Stringfellow aggiungono una spezia in più alle composizioni e contribuiscono alla riuscita di un disco che non punta a giocare la carta dell’irruenza giovanile (che apparirebbe fuori luogo), ma preferisce far fruttare la lunga esperienza raccolta per offrire agli ascoltatori un viaggio ricco di sfumature e rimandi a un’idea di rock forse oggi oscurata dalla continua ricerca di una nuova moda e di un nuovo fenomeno usa e getta.
Qui, al contrario, si riannodano i fili del genere dai primi vagiti alle derive psichedeliche degli anni Sessanta e al revival degli Ottanta, poi si mette il tutto al servizio di una scrittura che non si nega nessuno sfizio, neanche uno strumentale che finisce addirittura per diventare il titolo di tutto. Retrò, ma nel senso migliore del termine.

Michele Giorgi – The New Noise 26/05/2018

“Someplace Better è alla costante ricerca di nuove terre a cui approdare, consapevoli di essere sempre al posto giusto al momento sbagliato” si legge nel booklet che accompagna il settimo album dei Sick Rose. Che, all’inizio della loro avventura nei medi anni Ottanta, si trovarono invece al posto giusto al momento giusto e furono tra i protagonisti della scena neo-Sixties mondiale. Da allora molti anni sono trascorsi e molte cose cambiate. Non, però, la passione che da sempre anima la formazione torinese così come il desiderio di ricercare nuove strade. Dalla reunion del 2005 la band ha orientato il proprio sound verso il power pop e “Sorneplace Better” conferma la bontà di un percorso iniziato con “Blastin’ Out” e proseguito poi con “No Need For Speed”.
La produzione dì un pezzo da novanta dell’indie-rock americano come Ken Stringfellow (Posies, R.E.M., Big Star) oggi mette in luce la capacità del quintetto di scrivere belle canzoni e adornarle con semplicità e gusto.
Ed ecco una manciata di brani nuovi di zecca che vanno a segno – il segno di Shoes, Romantics, 20/20, Hoo-doo Gurus – con il loro mix di grinta e melodia, chitarre eleganti e soluzioni armoniche azzeccate. Saranno pure al posto sbagliato, i Sick Rose, ma continuano a tirar fuori episodi come How To Be Your Friend, Fortune and Fome, Sweet As A Punch o la più garagistica Nobody che li collocano oggi tra i nomi di punta del genere.

Voto: 8
Roberto Calabrò – Blow Up #239 04/2018

I Sick Rose sono sicuramente il gruppo garage-punk italiano più importante dell’ondata di revival di metà anni ’80 che guardava ai mitici anni ’60. Non erano psichedelici come, magari, qualche critico in crisi di ispirazione li ha definiti. Sono stati senza dubbio una grande band di garage-punk, eredi del suono sporco e ruvido di Seeds, Sonics, Electric Prunes e molti altri nomi del periodo. Va detto che i Sick Rose erano sullo stesso livello dei vari Miracle Workers, Chesterfield Kings e Fuzztones, tutti gruppi che andavano per la maggiore all’epoca in ambito garage.
La loro storia, peraltro, è stata ben raccontata dall’ex bassista Maurizio Campisi in un bel volume – intitolato “Everybody Wants To Know – La mia vita con i Sick Rose” pubblicato dalla meritoria Area Pirata, etichetta di riferimento in questo momento per i nostalgici di quella stagione: nel suo catalogo troviamo infatti gli psichedelici No Strange, esponenti della “scena pisana” come Liars e Steeplejack e i Not Moving!
Ora esce, proprio per Area Pirata, il nuovo disco “Someplace Better“. Della vecchia formazione troviamo 2 membri storici ovvero il cantante Luca Re e il chitarrista Diego Mese. I Sick Rose, dopo la fase di più stretta osservanza garage, avevano indurito il loro sound verso il Detroit sound in “Shakin’ Street” del 1988, un mutamento comune ad altri nomi come Miracle Workers e Chesterfield Kings. Ma il percorso successivo li ha portati verso lidi power-pop come in “Blastin’ Out” del 2005 e “No Need For Speed” del 2011. Personalmente sono un nostalgico di natura, per cui ammetto che il nuovo corso non mi fa impazzire: tuttavia devo ammettere che la classe nel comporre brani perfetti e incisivi è rimasta immutata come si può ascoltare nell’iniziale “How To Be Your Friend” e in altri brani piacevoli come “Anyway”, la melodica “Milk And Honey” e la decisa “Sweer As A Punch”. Tuttavia una concessione al passato per fortuna c’è e si chiama “Nobody”, un’autentica chicca per chi amava i vecchi Sick Rose e un pezzo semplicemente irresistibile! Un po’ poco forse per far rinascere il fuoco sotto la cenere ma il disco è comunque su livelli buoni.

Vote: 3/5
Cesare Buttaboni – Debaser.it 26/03/2018

 

Il 35° anno di vita dei Sick Rose ci regala anche il loro 7° album.
“Someplace Better”, sottotitolato “A Metaphoric Journey In Search Of A Better Place”, ci restituisce una band (rimangono solo Luca Re e Diego Mese del nucleo originario) carica di nuove idee, nuovi percorsi e suoni ibridi tra il vecchio corso, più sporco e stradaiolo e questo nuovo, evoluto verso lidi roots e neopsichedelici.
Grazie all’intervento in sede di mixaggio e produzione di un pezzo da 90 come Ken Stringfellow, già con Posies R.E.M. e Big Star, e di una verve compositiva generale in grande spolvero.
“Someplace Better” è un album super solare e divertente, le cui 11 tracce tutte orginali contribuiscono ad alimentare il (giusto) mito di cui i Sick Rose godono in Italia e nel resto del mondo.
Insomma stiamo a parlare di un’eccellenza tricolore che meriterebbe un proscenio “pesante” e dal respiro sicuramente globale, nonostante la mia prima impressione è che i kids non siano tanto interessati a battaglie di ego e aereoporti, quanto a stigmatizzare con il loro sound sferragliante una compattezza e corenza raramente riscontrabili.
Bravissimi sì, ma brava anche Area Pirata a sovrintendere il progetto con una visione d’insieme e strategica fuori dal comune per una label indipendente, soprattutto in tempi non semplici come questi.
Parliamo di un packaging molto bello (merito del chitarrista Giorgio Cappellaro) e, as usual, di un’uscita in tiratura limitata sia in vinile che in cd.

Davide Monteverdi – Razzputin Crew Milano 18/04/2018

 

Era il 1983 quando vennero fuori I torinesi Sick Rose, mi ricordo bene ancora il rumore che fecero, la loro forza era l’energia e quella musica, nel panorama musicale del momento, li rendeva inconfondibili. Per il loro settimo album la produzione viene affidata all’americano Ken Stringfellow (REM, Posies, Marky Ramone Band). Gli 11 brani originali suonano nuovissimi, il loro suono si è molto levigato, quasi perfetto… sembra un condensato del virtuosismo accumulato fino ad oggi… non so perché ma mi vengono in mente i Secret Affair, band inglese attiva all’inizio degli anni ’80 che non mi lasciò per niente indifferente, ma loro sono i Sick Rose… e venendo al disco c’è molta buona musica, basta ascoltare l’open How to be your Friend e la seguente Anyway, molto legate fra loro e anche simili. Il suono è omogeneo in tutto il disco e ci sono ancora ottimi pezzi come Milk and Honey, Stand All ecc… per chi li conosce un disco imperdibile.

Stefano Ballini – Trippa Shake Webzine 07/05/2018

 

A trentacinque anni dalla loro nascita i Sick Rose pubblicano il loro settimo album, per la prima volta senza cover. “Someplace better”, infatti, contiene undici tracce esclusivamente scritte dal gruppo. Prodotti da Ken Stringfellow (REM, Posies, Big Star, Marky Ramone Band), i Sick Rose in questo lavoro si muovono lungo il crinale tra power pop e il garage rock degli esordi.
La struttura delle tracce è molto stabile ed emerge una vena pop collocando questo disco nel filone dell’asse Smiths-REM, seppure in qualche occasione si tratti di alt-pop (“How to be your friend“), il più delle volte il sound è piuttosto canonico (“Anyway“, “Milk and honey“). In un paio di brani il sound è decisamente rock, con venature pop e schegge punk come in “Sweet as a punch”, oppure diventa quasi paisley underground in “Childhood dreams“. Un lavoro dalla forte impronta vintage, d’altronde al quintetto non ha mai interessato seguire le mode, dato che ha sempre preferito nel posto giusto al momento sbagliato!

Vittorio Lanutti – Freak Out 23/07/2018

Interviste:

Tony Face – tonyfaceblog 26/03/2018

La band torinese compie 35 anni e festeggia dando alle stampe (per Area Pirata) il settimo album che ne conferma la capacità di rinnovarsi, guardare avanti, con freschezza e spirito artisticamente progressista.

Gli undici brani (per la prima volta tutti autografi), magnificamente prodotti da Ken Stringfellow (personaggio che ha vagato nei fertili campi di nomi come (REM, Posies, Big Star, Marky Ramone Band), spaziano nell’ampio cielo del più puro power pop (Shoes, Records, Raspeberries, Knack ma anche Buzzcocks, Undertones e un tocco dei Clash più pop).
Un album perfetto nel suo genere.

A seguire una breve e veloce intervista con Luca Re, voce della band.

1)
Qual’è il segreto della longevità dei Sick Rose, attivi dal 1983 ?

Credo che la ragione per cui siamo ancora insieme sia essenzialmente il divertimento.
Siamo 5 vecchi amici che si divertono ancora un sacco a suonare insieme, ad andare in tour, a fare le ore piccole, a bere, a passare i weekend chiusi in uno studio e a spendere un sacco di ore in furgone in giro per l’ Italia e per l’ Europa.

2)
Il nuovo album prosegue spedito verso sonorità power pop. Siete ancora legati in qualche modo al garage originale o lo avete definitivamente superato?

Direi che con il nuovo disco abbiamo tentato di superare generi ed etichette, è un disco r’n’r a tratti raffinato e sicuramente molto più concentrato sulla composizione.
Se per garage intendiamo la maggior parte delle band che oggi si definiscono tali, allora rispondo che quel suono non ci interessa oggi come fondamentalmente non ci interessava neanche 35 anni fa.

3)
Com’è stato lavorare con Ken Stringfellow?

Molto rilassante, è un personaggio che ha la capacità di metterti assolutamente a tuo agio in studio e a tirare fuori il meglio da ogni componente della band.
Ha il grosso pregio di saper ascoltare e cogliere lo spirito di una canzone e farla suonare al meglio. Spero si possa ancora collaborare insieme in futuro.

4)
Quali sono i dischi che avete ascoltato di più durante la composizione dell’album ?

I dischi che ascoltiamo sono fondamentalmente sempre gli stessi da oltre 30 anni, poca roba nuova.
Siamo noi ad essere migliorati musicalmente e oggi possiamo permetterci di suonare cose che 30 anni fa non ci sarebbero assolutamente riuscite.
Ricordo che ai tempi di “Faces” io e Diego pensavamo di fare live una cover degli Only Ones, “The Beast”, l’ abbiamo provata forse una volta e veniva una cagata, la roba texana era sicuramente più facile!
Comunque diciamo che forse su questo disco vengono fuori a tratti influenze pop anni ’90 gente come Jason Falkner e Gigolo Aunts, ma anche gruppi più recenti come Tinted Windows.

5)
Che tipo di scaletta proporrete nel tour promozionale ?

I concerti che faremo con Ken saranno essenzialmente incentrati sul nuovo disco che suoneremo per intero, poi un po’ di pezzi da Blastin’ Out e No Need for Speed e qualche cover a sorpresa (non facciamo pezzi dei R.E.M. chi verrà ai concerti è pregato di non chiedere “Losing my religion”!).
Dopo il Faces tour del 2016/17 basta anche ai nostri “classici” del passato!