The Strange Flowers – Best Things Are Yet To Come

DCD
Dicembre 2017
Tiratura: 300 copie

Formato: Tag
Etichetta: Area Pirata

15.00

1 disponibili

The Strange Flowers – Best Things Are Yet To Come

(Best Things Are Yet To Come traces and celebrates the career of The Strange Flowers through the retrieval and revision of their musical journey. The double CD includes 30 tracks, of which 5 previously unreleased (3 of them recorded for the occasion), newly mixed, and/or mastered songs, from each of their 7 albums and that deserved to be valued, including the pre-production of Vagina Mother in its almost whole.

The sequence of songs chronologically follows the compositional path of this historical group of the Italian neo-psychedelic scene, photographing its evolution and maturation. A definitive collection that perfectly reflects the spirit of an artistic and human project that flirted with success without ever reaching it, fiercely uncompromisingly, in the midst of joy and sorrow, sadness and happiness, past and future)Best Things Are Yet To Come ripercorre e celebra i 30 anni di carriera degli Strange Flowers, attraverso il recupero e la rivisitazione del loro percorso musicale. Il doppio CD comprende 30 brani, di cui 5 inediti (3 dei quali registrati appositamente per l’occasione), nuovi missaggi, e/o masterizzazioni di brani provenienti da ciascuno dei loro 7 album e che meritavano di essere valorizzati, tra cui spicca la pre-produzione di Vagina Mother nella sua quasi interezza.

La sequenza dei brani segue cronologicamente il percorso compositivo di questo gruppo storico del panorama neo-psichedelico italiano, fotografandone l’evoluzione e la maturazione. Una raccolta definitiva, che rappresenta perfettamente lo spirito di un progetto artistico e umano che ha flirtato col successo senza mai raggiungerlo, fieramente senza compromessi, in bilico tra gioia e dolore, tristezza e felicità, passato e futuro.

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Recensioni:

Area Pirata si conferma un’etichetta fondamentale in questo momento per chi si interessa alle sonorità di matrice ’60: dopo il nuovo disco dei No Strange Il sentiero delle tartarughe è ora la volta di un doppio cd che celebra la carriera dei pisani Strange Flowers intitolato “Best Things Are Yet to Come“. Chi ha seguito la mitica stagione di metà anni ’80 e dei primi anni ’90 del revival del garage e della psichedelia probabilmente si ricorderà degli Strange Flowers: in quel periodo a Pisa, per una strana congiuntura, si riunirono le menti più iluminate della scena psichedelica italiana basti pensare agli Useless Boys, ai Birdmen of Alkatraz, ai Liars e agli Steeplejack. All’epoca si faceva molta confusione per cui venivano considerati psichedelici anche gruppi come i Sick Rose e altri che facevano, in realtà, un ottimo garage-rock. L’attitudine degli Strange Flowers invece era ed è genuinamente psico-pop: chi ha amato la psichedelia inglese dei primi Pink Floyd, dei Tomorrow e dei Misundestood non faticherà a trovarsi a proprio agio nell’universo e nel Cosmo colorato e cangiante creato dalla band pisana. Questa raccolta raccoglie gran parte della produzione degli Strange Flowers: 5 brani sono, per l’occasione, inediti mentre 4 sono stati rimasterizzati e il resto del vecchio materiale è stato rimissato. Tutto le tracce vengono presentate in ordine cronologico di scrittura: in pratica siamo di fronte ad una sorta di “best off” del gruppo e una celebrazione e rivisitazione di tutta la loro carriera. L’unico membro che è sempre stato stabile nel corso degli anni è il chitarrista e cantante Michele Marinò anche se, attualmente, il nucleo originario si è riunito. I loro lavori più significativi sono, probabilmente, “Music for Astroauts” del 1993 e “Ortoflorovivaistica” del 2006. In quest’ultimo disco c’era anche una piccola perla di musica lisergica come “Strange Girl 2000”, pura essenza distillata di psichedelia che qui viene riproposta in un’inedita versione alternativa registrata appositamente per questo disco. Ma pepite d’annata si trovano sparse in questa preziosa antologia: da “Miriam on the Nile”, perla acustica e “barrettiana”, a “Carrin’ to Pie” e “Apples in your Eyes” che ci riportano magicamente, come un viaggio a ritroso nel tempo, a un’epoca passata ma sempre attuale. E’ una musica che ci proietta direttamente da Marina di Pisa, raffigurata in copertina, al Cosmo. La chitarra è sempre acida al punto giusto e le melodie sono accattivanti e sixties-oriented con un gusto per un pop psichedelico di classe. Consigliato caldamente a tutti i seguaci del verbo ’60.

Vote: 4/5
Cesare Buttaboni – Debaser.it 15/12/2017

 

Mamma mia quanta roba bella hanno registrato gli Strange Flowers in trent’anni di carriera! Tanta che c’è voluto un doppio CD per raccoglierne qualche badilata. Tanta che anche due CD non sono bastati, ed è molto probabile che il vostro pezzo preferito non ci sia. Però Best Things Are Yet to Come ha una omogeneità paurosa, per essere una raccolta. A dimostrazione che il percorso artistico degli Strange Flowers ha una coerenza ineccepibile.

La musica del gruppo toscano esce, in pieno inverno, vestita di leggeri abiti inglesi. Sfidando il freddo, porta i bambini a vedere il mare. E racconta loro qualche fiaba, soffiandola con grazia dentro la dolce cartilagine delle loro orecchie.

Racconta loro vecchie storie di sottomarini gialli e di cigni bianchi, di pifferai magici, di uomini che possono fare come una tartaruga, tuffarsi fra le onde e pescare perle nel mare per offrirle loro in dono mentre sono seduti sul loro trono di velluto. E ne inventano di nuove. Favole che diventano piccole meraviglie, sogni psichedelici dove piccole e grandi donne sono le protagoniste assolute. Guadano fiumi, si arrampicano su alberi di fragole, rubano arcobaleni. Seguono un bianconiglio che ha ancora fiato per trascinarci in un posto migliore. E che loro, a differenza di noi barbuti misogini, hanno ancora la voglia, il coraggio di rincorrere.

Best Things Are Yet to Come corona egregiamente non solo la trentennale carriera del gruppo pisano ma celebra ufficialmente la reunion della prima line-up annunciata l’estate scorsa e che ora si può risentire in azione nelle tre versioni inedite di Strange Girl, The Sixth Colour e Goodbye Summer Skies.

Promettono che il meglio deve ancora arrivare. E noi, dopo averli ascoltati, siamo pronti a crederci.

Lys Di Mauro 21/12/2017

 

Trent’anni di attività, sia pur fra pause, cambi di formazioni, riapparizioni, non potevano che essere adeguatamente celebrati, e ci ha pensato la meritoria Area Pirata dando alle stampe questo doppio cd che ripercorre le gesta della band pisana di Michele Marinò, chitarrista e frontman e autore da solo o con altri diella quasi totalità dei brani degli Strange Flowers. In tutti questi anni intorno a Marinò hanno ruotato una decina di musicisti, ma ora, come in un sogno coloratissimo e imprevedibile nei suoi labirintici svolgimenti, ecco che i quattro (Giovanni Bruno, chitarra solista, Alessandro Pardini, basso, Maurizio Falciani, batteria, oltre allo stesso Marinò alla chitarra ritmica e alla voce) che 30 anni fa avevano iniziato si sono ritrovati, hanno registrato tre brani per questa compilation e lasciano presagire una nuova fioritura, del resto «best things are yet to come»! Ma torniamo a questa bella compilation che presenta in due cd 30 brani, con 5 inediti, che coprono così la carriera di una delle migliori band di neo psichedelia della penisola e non solo. Una vera gioia per le orecchie di chi ama lasciarsi trasportare in mondi dove la logica viene sostituita dalla fantasia, l’ordine dal caos, dove l’imponderabile e l’imprevedibile sono ben accetti al pari di peace and love, un universo dipinto di dolcezza dove «we can be together», come cantavano i Jefferson Airplane.

Certo è che ascoltando le canzoni qui contenute ci si stupisce che la band pisana non abbia raccolto quanto ha seminato e quanto avrebbe meritato, malgrado l’apprezzamento di gente come Rudi Protrudi e un buon seguito soprattutto in Europa centrale. Per chi ha nel sangue rock e psichedelia è un piacere ascoltare il susseguirsi di perle come la sognante Goodbye Summer Sky o la barrettiana Carrin’ To Pie o ballate intrise di malinconia e dolcezza come Dreaming, Bleeding A Bit e No Love No Pain No Fall From Grace o la bizzarra Hemerick G. Ma anche il delirio di chitarre fuzz di The Insect and the Fish o l’ipnotica e ‘stonata’ The Naked Monk o gli stupendi 9 minuti di Strange Girl 2.000, uno dei primi brani della band proposto in una versione appositamente registrata per l’occasione, un trip psichedelico, una jam acida fra influssi indiani, suoni spaziali e distorsioni, brani che dimostrano l’abilità nel coniugare al pop psichedelico britannico, Beatles, Pink Floyd, Tomorrow, influenze californiane e perfino kraut. Con disincantata ironia nel booklet la band scrive che ciò che li ha contraddistinti «è essere sempre arrivati a un passo dal successo e dalla celebrità e averlo sistematicamente fallito». Ecco questa benemerita compilation è un’ottima occasione per approfondire o per iniziare la conoscenza della band e garantirvi un viaggio musicale che vi sollevi dalle bassezze di questo mondo fino ai meandri delle vostre sognanti sinapsi cerebrali.

Voto: 8/10
Ignazio Gulotta – Distorsioni 03/01/2018

La band pisana festeggia 30 anni di attività in cui ha messo insieme la bellezza di sette album, un numero infinito di concerti e di esperienze di vario tipo. “Best things are yet to come” raccoglie trenta brani (tra cui cinque inediti, tre dei quali registrati per l’occasione) tratti dalla ricca discografia. Testimonianza preziosa di una band di spessore internazionale, qualitativamente di primo livello, capace di assemblare atmosfere 60’s che arrivano dal garage con la pischedelia dei primi Pink Floyd e dei Love. Brani semplicemente belli, avvolgenti, con un gusto sempre attuale e moderno. Lunga vita !

Antonio Bacciocchi – RadioCOOP 15/01/2018

 

 

Chi ha a cuore il gruppo di Michele Marinò sa come ci abbia abituato a lunghi periodi di silenzio, repentine accelerazioni, stravolgimenti di formazione e stile. Resta ferma la barra del guitar pop psichedelico, Stella Polare che ne ha guidato il songwriting dagli esordi barrettiani, alle escursioni spacey e nel Britpop più lisergico, fino ad approdare a un power pop maturo che negli inediti qui presenti punta a certo Paisley più umbratile. Le 30 tracce qui raccolte rappresentano il miglior regalo che il gruppo poteva farsi per il suo trentennale: un distillato della sua naturalezza nel comporre melodie stralunate ed evocative, che pur nella chiarezza dei riferimenti (Pink Floyd, certo, ma anche Hitchcok e Cope, Bevis Frond e Kula Shaker), vanta uno stile personale in continua evoluzione.

Voto 85/100
Diego Ballani – Rumore#312 01/2018

 

Avevo esaltato non poco Pearls At Swine, oggi arriva questo doppio lavoro e non posso che confermare e amplificare quanto detto in precedenza. Abbandonate il computer, Facebook, rilassatevi da soli in macchina o in poltrona, mettete questo disco e chiudete gli occhi, vi sembrerà di trovarvi di fronte a un film, avete presente quelle pellicole semi rovinate, con quella musica 60/70 alla Pink Floyd “barrettiana”, un po’ di Beatles, Cream e tutto quello che volete ma ci siamo capiti. Trenta i pezzi, trenta anni di attività, tanta ammirazione, tanta classe e melodia, tante bellissime note che accarezzano l’anima… hai detto poco! Rudi Protrudi non è certo uno sprovveduto dicendo di loro “Music this good is timeless. Escape into it now. You may just stay there!” , i pezzi da citare sarebbero tanti, troppi, forse tutti ma vi metto il primo che è il benvenuto e cioè Goodbye Summer Skies, la copertina azzeccatissima.. rende bene l’idea del suono e del messaggio sonoro che rilasciano… gli Strange Flowers hanno fatto e faranno la storia della musica ma probabilmente in molti lo scopriranno tardi… documento storico!

Stefano Ballini – Trippa Shake Webzine 27/01/2018

 

Ci sono due buoni motivi per i quali questa recensione non sarà né una buona recensione né tanto meno una recensione obbiettiva ed esplicativa per chi la leggerà.

Il primo è che prima di me ne ha fatta una splendida Franco Lys Dimauro ed io ho avuto la fortuna (o sfortuna fate voi) di leggerla, dice tutto quello che avrei voluto dire io solo che lo fa meglio. Il secondo è la mia adorazione per gli Strange Flowers che non mi consente il distacco sufficiente per poter parlare con dover di particolari o similitudini delle canzoni contenute in questa indispensabile raccolta.

Quindi vi dirò soltanto che acquistando questo doppio cd vi porterete a casa ben più di trenta canzoni ma farete vostre emozioni e sensazioni grazie alle quali le vostre vite potrebbero sensibilmente migliorare.

Questo è almeno ciò che accade a me all’ascolto di questa mirabilissima band pisana che mette in musica tutto ciò di cui sento il bisogno: gioia, malinconia, melodia, grazia, classe…potrei aggiungere un sacco di altri sostantivi ma non vi voglio annoiare. Qui le chiacchiere stanno a zero insieme ai CCM ed ai Lyres ristampa dell’anno appena trascorso, per chi scrive imprescindibile.

Voto: 9/10
Luca Calcagno – InYourEyes ‘zine 25/01/2018

 

Due cd, trenta brani, trent’anni di carriera rivisitati con nuovi missaggi e masterizzazioni, alcuni registrati appositamente per l’occasione, una storia riletta con tanto di inediti e raccontata seguendo passo passo il percorso della band, con testimonianze di ogni sua fase come nel corposo libretto pieno di foto d’archivio, anche se non ricchissimo di parole (come a voler lasciare spazio alla musica). Tre decenni di pura dedizione al rock tra psichedelia e garage, con un’invidiabile capacità di creare un proprio sound riconoscibile, lo stesso che li ha fatti viaggiare e apprezzare anche al di fuori dei confini nazionali.
La carta vincente degli Strange Flowers è la capacità di sposare e incorporare in modo del tutto naturale persino le istanze pop, grazie a melodie tanto semplici quanto toccanti, senza per questo stemperare l’appeal lisergico delle proprie composizioni e la ricchezza di una scrittura solo all’apparenza lineare. Si prenda ad esempio un brano come “Apples In Your Eyes”, che a un primo ascolto appare come una hit radiofonica ricca di appeal, ma che racchiude sottopelle un nucleo che strizza l’occhio alla migliore psichedelia inglese. Insomma, si sbaglierebbe a prendere in considerazione una sola delle molte facce della band o soffermarsi solo sull’apparente delicatezza delle sue canzoni mai troppo urlate, perché lungo queste trenta tracce si annidano molteplici anime e personalità, nonché un amore sincero e una passione palpabile per alcune delle pagine più belle della storia musicale dello scorso millennio.
Encomiabile, al solito, Area Pirata, che ha deciso di prendersi cura della preziosa testimonianza e ci permette di godere al meglio di questa storia in note. Il titolo, da parte sua, ci dimostra come lo spirito della band (così come l’intera operazione) sia ben distante dalla voglia di salutare il pubblico per appendere gli strumenti al chiodo. Di sicuro questa raccolta offre la scusa perfetta per molte altre date in giro per l’Europa e si spera presto anche per un nuovo disco.

Michele Giorgi – The New Noise 03/02/2018

 

Inutile dilungarmi cercando giri di parole alla ricerca della recensione perfetta: questa compila è una vera BOMBA.
Eccoli dunque gli Strange Flowers da Pisa che, allo scoccare del 30° anno di attività, festeggiano con un doppio cd e 30 tracce da volare letteralmente via.
Il meglio è già arrivato a quanto sembra nonostante il titolo di questo psichedelico tributo che annovera, per completezza, ben 5 inediti (3 registrati per l’occasione) e nuovi mixaggi e produzioni, spaziando tra tutti i 7 album all’attivo della band di Michele Marinò (voce e chitarra) unico perno inamovibile fin dagli esordi del 1987.
Marinò che per l’occasione si è prontamente riunito ai compagni della prima line up per coronare, con invidiabile dovizia di particolari, una carriera spesa tra alti (molti) e bassi (davvero pochi) sia qualitativi che quantitativi.
Parafrasando infatti la presentazione nell’esaustivo booklet, zeppo di fotografie inedite, “gli Strange Flowers sono il combo che ha spesso flirtato col successo senza mai afferrarlo” e questa sfiga ancestrale, a mio avviso, è stata la loro “fortuna” perchè li ha consegnati di fatto al mito della musica indie italica.
Rendendosi allo stesso tempo canonizzatori e pregiati interpreti, in maniera più articolata di altri artisti contemporanei e conterranei, della neopsichedelia tricolore: assolutamente unica nel coniugare il sound di importazione, tanto inglese quanto americano, con le sfumature lisergiche locali.
Insomma, un pò Beatles, un Pò Syd Barrett, un pò Cream, un pò Byrds tanto per capirci qualcosa. Con quel mix di genuinità in più che rende ogni canzone di un altro livello compositivo, costringendoci anche all’impossibilità di scegliere una traccia piuttosto di un’altra nel lettore cd.
Insomma applausi agli Strange Flowers e applausi ad Area Pirata per la sua monumentale opera di divulgazione sonora, perchè la buona musica (si spera) non morirà mai.
Qualunque essa sia!

Davide Monteverdi – Razzputin Crew Milano 06/02/2018

 

La SS1 Aurelia, nel tratto che va da Livorno a Pisa, è una striscia nera di asfalto che corre, costeggiata da un filare di pini ad alto fusto, in una terra scura che passa dagli enormi depositi di carburante di Stagno alle pinete grigio verdi di Tirrenia.
Di notte, un buio assordante sembra mangiarsi tutto quanto e figure scure scorrono riflettendosi sul vetro del finestrino; caselli ferroviari dismessi, canali in cui i fari delle macchine si riflettono lievi sulla carena di qualche barca lasciata a marcire, distributori di benzina malconci, il filo spinato di Camp Darby e qualche rara e triste signorina nelle piazzole di sosta.
La costa Pisana e Livornese è interessante, siamo sinceri, e lo è per tutta una serie di motivi che ci vorrebbe più un trattato di sociologia che un articolo per una rivista che prova a parlare di surf e di musica. Vengo spesso da queste parti, sopratutto perché cerco di fare surf, ma la verità è che noi – e per noi intendo io e altri 3 disgraziati – ci muoviamo dall’entroterra più per il situazionismo che per altro, voglio dire lo facciamo anche quando non ci sono le onde e lo facciamo perché siamo sempre dietro a cercare qualcosa che non c’è; perlomeno sulla costa è più facile accettare di far naufragare l’incanto. Non che sia un gran che, ma tanto basta per andare avanti, per continuare a inseguire il sogno, che più che sogno sarebbe opportuno chiamare illusione.

E l’illusione è anche la musa, bellissima e sfuggente, che ho sempre pensato dia linfa a un certo tipo di musica, quella che ti prende e ti porta via, dentro mondi così lontani dalla SS1 Aurelia che da Livorno va verso Pisa, che alla fine le sono tanto vicini da compenetrarsi.
La vita, per i romantici, è fatta di suggestioni e la musica di quelle stesse suggestioni si nutre e, al tempo stesso, ne è nutrimento. Questo vale per tutti i tipi di musica, a maggior ragione per quella psichedelica, di cui questo lembo di terra è una delle roccaforti.
E’ strano quanto la passione e “la visione” di un singolo, o di un gruppo di individui, riescano a plasmare un territorio fino a farlo divenire la culla di un qualcosa che, col senno di poi, si comincia a chiamare scena.
Pisa, della scena psichedelica italiana, è stata una delle culle e lo è stata, appunto, grazie alla visione di alcuni ragazzi che trent’anni fa hanno cominciato a fare qualcosa che gli altri non facevano; tra questi ragazzi, a proseguire una via aperta dai primissimi pionieri – Useless Boys, Liars e The Birdmen Of Alkatraz – ci sono gli Strange Flowers.
Cover-rifattaI ragazzi sono attivi dal 1987, sono passati dai concerti nelle storiche aree occupate del pisano ai palchi europei divisi con Rudi Protrudi dei Fuzztones, hanno inciso 8 album, partecipato a svariate compilation internazionali e, in trent’anni di carriera, sono riusciti a plasmare un immaginario sonoro che niente ha da invidiare ai mostri sacri della neo psichedelia anglosassone; ci sono pezzi nel doppio cd “celebrativo” Best Things Are Yet To Come – uscito recentemente per Area Pirata – che suonano moderni come un pezzo dei Tame Impala, tanto per capirsi.
E’ martedì, ho la febbre e dei lancinanti crampi allo stomaco quando li incontriamo. Fuori c’è il sole però e, dopo un inverno piovoso che manco a Manchester, tanto basta per permettere al mio umore di non scendere sotto il livello di guardia; e poi stiamo andando a parlare con dei signori che hanno intitolato uno dei loro album “The Grace of Losers” e questo – per uno che, per tutta l’adolescenza, ha tenuto scritto sull’armadio di camera la frase citata da Salvatores (e da lui attribuita a Camus) “stare sempre con i perdenti, fosse altro che per la tracotante arroganza dei vincitori” – potrebbe anche bastare.

Non sapere dove sei a volte può aiutarti a capire dove ti trovi e questo è bello perché è contraddittorio e fa assumere alla verità dell’assunto una veste più armoniosa. Non sai mai dove sei quando devi chiedere indicazioni, quando ti affidi alla tecnologia impostando un navigatore, quando le strade nel proprio susseguirsi di stanzoni e parcheggi e palazzi popolari sembrano tutte uguali, e i fuochi sulla vetta delle ciminiere non sono ancora accesi a illuminare di un arancione infernale le nuvole basse, come fari di una terra d’ombra posti a monito per guidare i passi di viandanti su sentieri incerti che conducono al sogno, all’incubo, alla pazzia. Quando le visioni rese dall’acido lisergico diventano reali e si acquista la consapevolezza che l’uomo può essere capace di questo e del peggio, nella sua rincorsa a regolare la vita propria e del proprio ambiente, allora amico sei giunto nella psichedelia. E non è solo musica o luce o impressione o disegni di forme nere nelle mani di uno psichiatra che si dispiegano innumerevoli e in un susseguirsi circolare e infinito davanti ai tuoi neuroni, è concreto, è un invito a fuggire, un’esortazione allo straniamento. Essere posti davanti all’ineluttabile che si sposa l’illusione in un matrimonio urlante celebrato nel deserto, con angeli e demoni a fare da testimoni.

Piegati, storti, traballanti, raggiungiamo la nostra destinazione per un colloquio con chi questa cosa forse l’ha capita e ha provato a tradurla in suono, dando senso a una vacuità mentale inafferrabile, che nella quotidianità assume unicamente forme terribili. Hanno capito che solo la natura può dare corpo a quelle forme che proviamo a immaginare arrancando boccheggianti come in mezzo al mare o in un racconto di Lovecraft, ecco perché si chiamano Strange Flowers. O almeno, così mi piace pensare. Poi però quando gli chiedo perché hanno intitolato un album Ortoflorovivaistica mi dicono che era l’unica parola italiana che il loro produttore tedesco aveva imparato, e che ripeteva forse a motteggio nello stile del pappagallo di Churchill, o magari perché gli piaceva come suonava. In ogni caso a loro è sembrato divertente e hanno utilizzato l’aneddoto, e questo alla fine mostra come dietro ogni cosa, oltre a nascondersi una storia, non deve esserci per forza un ragionamento filosofico, a volte c’è solo semplicità.
La semplicità con la quale, appunto, entriamo subito in sintonia con gli Strange Flowers, accomodati nella sala prove che utilizzano abitualmente, nell’atrio che si apre in una sala d’attesa che è più un salotto addobbato per far sentire a proprio agio chi la musica la respira, con i poster di Cobain e dei Maiden a fare la guardia dall’alto per tener lontano lo spirito maligno della trap, espressione truce dei nostri tempi balordi, un punto sul quale conveniamo vicendevolmente.
In realtà forse si aspettavano che fossimo più giovani, quindi dopo i convenevoli non hanno mancato di informarsi sulla nostra età anagrafica, mostrando un evidente sollievo alla nostra risposta; è ovvio e palese, non è che si ragiona meglio tra coetanei o quasi, ma ho avuto l’impressione che il fatto di non essere, diciamo, dei “millennial”, per gente che da trent’anni, la musica la fa davvero e la fa buona, fosse un biglietto da visita più efficace di qualsiasi curriculum vitae.
Rendiamoci conto, siamo a ragionare con gente che ha vissuto l’adolescenza nei tempi in cui infuriava il Granducato Hardcore (CCM, i già citati Useless Boys…) e che si è vista i Soundgarden nei tempi mitici in cui Cornell aveva i capelli lunghi ed era senza pizzo (tour di Louder Than Love). E infatti loro non esitano a informarci che anni fa la scena era sicuramente meglio e le possibilità più ampie. Pisa, con la sua tradizione psichedelica, costituiva un terreno fertile per lo sviluppo di espressioni di controcultura giovanile, più locali, realtà più vive; più coraggio persino, se si pensa alle storiche occupazioni, tipo quella del Macchia Nera. In un periodo in cui siamo schiavi dipendenti della tecnologia può fare una certa impressione ritornare ai giorni in cui le tournée venivano fissate per posta (non elettronica, la vecchia busta affrancata con un foglio di carta ripiegato al suo interno su cui si scriveva sopra roba a mano e poi si imbucava in una magica cassetta rossa) o telefonando dalle cabine del telefono pubbliche della SIP (io personalmente conservo ancora qualche gettone, gli altri che non sanno cosa sia possono pure continuare a chiederselo).
Ma non voglio che l’impressione generale data sia quella di un gruppo di vecchi che rimembrano i bei tempi in cui; il discorso si dipana sul fatto di ciò che era più concretamente assimilabile a un supporto generalizzato alla musica, quella suonata nel garage di casa e che poteva essere portata a giro nei club della propria città e di quelle vicine. Letteralmente citando: “no merda di tribute band, roba originale anche se si faceva cover. Adesso pare che la gente vada nei locali, solo per – in ordine non intercambiabile – ubriacarsi e accoppiarsi (o meglio cercare di farlo dopo essersi, in ogni caso, ubriacati; che per far questo non hai bisogno del consenso di un altro/a)”. E da un punto di vista musicale, cosa rimane? “I gruppi che facevano garage e psichedelia, a parte alcune valide realtà – vedi Liars o Giöbia – o si sono sciolti o fanno power pop. Mentre a livello nazionale assistiamo allo sdoganamento dell’underground verso forme cosiddette ‘indie’, che in realtà è solo un modo per dare una patina di originalità e pseudoalternatività a orribile musica pop da classifica fatta per piacere a orecchi facili, scevra di contenuti e profondità”.
Tanto basta per capire quanto sia importante scoprire, e riscoprire, realtà prossime e consolidate che hanno dato e detto molto, sia a livello particolaristico di una scena – quella psichedelica – che alla fine, in Italia, non è stata adeguatamente tenuta in considerazione come forse si sarebbe meritata, sia a livello generale della musica realmente underground prodotta nella penisola; ecco perché la raccolta recentemente uscita, per gli Strange Flowers, rappresenta “sia una celebrazione di quanto fatto, ma anche un punto di partenza”. E il titolo, tradotto, è un invito inequivocabile: “le cose migliori devono ancora arrivare”.

Hobo the Mag 04/04/2018

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