Out Of Time – Stories We Can Tell & More

CD
Marzo 2015
Tiratura: 500 copie

–COPRODUZIONE–

Formato: Tag
Etichetta: Area Pirata

10.00

1 disponibili

Out Of Time – Stories We Can Tell & More

(Another amazing band is now back from the grave! Out Of Time were part of the ‘neo-Sixties’ underground movement during the mid-80s in Italy and were included in the legendary ‘Eighties Colours’ compilation.
Their short artistic life didn’t prevent the band to release a great album called “Stories We Can Tell” and share the stage with some of the most talented international bands of that time such as Long Ryders, Dream Syndicate, Smithereens, Go Betweens, That Petrol Emotion, Doctor and The Medics, Naked Prey…
This release includes their never reissued album “Stories We Can Tell” (1985) and many bonus tracks.
Any track has been remastered from the original source.
CD comes out with a rich booklet including unseen photos, reviews and interviews!)Un’altra band fondamentale di quel movimento underground ben fotografato dalla raccolta e dal libro ‘Eighties Colours’ è stata finalmente recuperata. Nella loro seppur breve avventura artistica, gli Out Of Time seppero farsi conoscere con le loro prove discografiche, in rare ma preziose apparizioni televisive e soprattutto dal vivo accompagnando, tra gli altri, Long Ryders, Dream Syndicate, Smithereens, Go Betweens, That Petrol Emotion, Doctor and The Medics, Naked Prey…
Oltre all’unico album pubblicato nel 1985 e fin qui mai ristampato, “Stories We Can Tell”, sono presenti varie bonus track. Tutti i brani sono stati rimasterizzati.
Il Cd è poi corredato da un ricco booklet con foto inedite della band, recensioni e interviste realizzate allora.

Ma veniamo alle note realizzate da Roberto Calabrò che ha collaborato in maniera decisiva a questa uscita:

OUT OF TIME: IL PAISLEY UNDERGROUND “MADE IN ITALY”

Apparve nel 1985 per un’etichetta “fantasma”, la Mail Records, un LP intitolato “Stories We Can Tell”.
In copertina il disegno di un tavolo su cui sono poggiati un pacchetto di Lucky Strike, dei fiammiferi, un posacenere traboccante di mozziconi, un paio di fotografie, un pentagramma, un bloc notes e una matita.
Da un angolo fa capolino un basso Rickenbacker. Strumenti necessari per “raccontare storie”, sintonizzandosi su nostalgie del passato. Di un passato che profuma di Sixties, che accende l’immaginazione facendo sognare tramonti luminosi su praterie sconfinate.

A guardarla così poteva tranquillamente essere la copertina di un disco di una band del Paisley Underground, il movimento musicale che negli stessi anni aveva preso piede sulla costa occidentale degli States. E invece “Stories We Can Tell” era il disco d’esordio degli Out Of Time, un giovane gruppo italiano che arrivava dalle nebbie di Bra, in Piemonte. A scoprire il quintetto, qualche mese prima era stato Claudio Sorge che ne aveva subito pubblicato un pezzo (“Have You Seen The Light Tonight”) sull’epocale raccolta “Eighties Colours”.
“Stories We Can Tell”, uscito a distanza di pochi mesi, era il proseguimento di quell’avventura artistica. Racchiusi nei solchi del vinile trovavano posto otto canzoni color pastello, dalle sfumature acide, con chitarre jingle jangle che descrivevano atmosfere nostalgiche ed evocative. Tra i numi tutelari della band, oltre ai gruppi Paisley loro coevi, i mostri sacri Byrds e Love. E proprio il gruppo di Arthur Lee veniva omaggiato dagli Out Of Time nell’episodio successivo: la bella cover di “A House Is Not A Motel” pubblicata sul sette pollici allegato al secondo numero della fanzine “Lost Trails”. Tracce discografiche che servirono a far conoscere la band nei circuiti underground e le regalarono anche un inaspettato momento di popolarità con la partecipazione televisiva al programma Rai “L’Orecchiocchio”. Ma la storia degli Out Of Time si interruppe improvvisamente nel 1987 mentre un secondo LP era già in cantiere.

“Stories We Can Tell & More” ci restituisce oggi un pezzo importante della storia della band di Bra e anche della nostra scena neo-Sixties. Contiene tutto quello che gli Out Of Time hanno lasciato impresso su vinile, ma anche un’outtake (“Time”) tratta dalle session del primo album, quattro episodi registrati dal vivo negli studi di un’emittente radiofonica e tre inediti (“Walkin’ In A Spanish Land”, “Untitled”, “Untitled #2”) che sarebbero dovuti finire sul secondo disco a 33 giri del gruppo.

È quindi un enorme, quanto sottile, piacere potersi rituffare oggi nei colori e nelle melodie “fuori dal tempo” della formazione piemontese. Un piacere che la lunga attesa di questa ristampa ha accresciuto a dismisura e che è bello condividere con tutti voi che tenete in mano questo piccolo, prezioso, CD.

Roberto Calabrò
Autore di “Eighties Colours. Garage, beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta”

TRACK LIST:
1) TAKE MY TIME
2) WHEN I WILL BE GONE AWAY
3) ONE MORE CHANCE
4) IT’S ONLY A SONG FOR YOU
5) I CAN RIDE
6) BYE BYE FRIENDS
7) BRIAN’S BLACK NIGHT
8) THIRTY DAYS ON THE ROAD
9) TIME
10) HAVE YOU SEEN THE LIGHT TONIGHT
11) A HOUSE IS NOT A MOTEL
12) WALKIN IN A SPANISH LAND
13) UNTITLED
14) UNTITLED#2
15) I CAN RIDE (live)
16) BYE BYE FRIENDS (live)
17) IT’S ONLY A SONG FOR YOU (live)
18) HAVE YOU SEEN THE LIGHT TONIGHT (live)


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Recensioni:

Uscito la bellezza di trent’anni fa, “Stories we can tell” rappresentò in assoluto il primo tentativo concreto per una formazione italiana di abbracciare le intuizioni restauratrici del Paisley Underground portate avanti da formazioni americane come R.E.M. e Long Ryders. Cinque ragazzi della provincia piemontese che, come quelli, sognano di poter scrivere canzoni che profumano di Byrds, Flying Burrito Bros., Love. Nelle mille difficoltà di una stagione che vive ancora sotto il lungo cono d’ombra del post-punk, gli Out Of Time si “rifugiano” sotto l’ala di colui che, più di ogni altro, sembra il più credibile profeta delle nuove musiche di ispirazione sixties. E’ infatti all’indirizzo di Claudio Sorge che viene recapitata la prima demotape della formazione di Bra. E’ il momento giusto, perché Claudio sta mettendo in piedi quello che sarà il primo documento storico della sommersa ma effervescente scena neo-garage e neo-psichedelica italiana. Per “Eighties Colours” gli Out of Time scrivono e registrano Have you seen the light tonight scopiazzando un po’ il ritornello alla Rockville dei R.E.M.
L’eco della compilation della Electric Eye suscita l’interesse della Mail Records di Cairo Montenotte che si converte temporaneamente da negozio di dischi in etichetta discografica per produrre l’album di debutto degli Out of Time che, in pochi mesi, dimostrano di essere diventati autori sopraffini piazzando subito in apertura una incalzante e iridescente cavalcata jingle-jangle degna di Tom Petty come Take my time , uno dei brani più belli non solo del disco ma di tutta la stagione neo-psichedelica italiana. Più avanti, lungo la scaletta del disco, scintillano la pacata One more chance impreziosita dalla pedal steel di Ricky Mantoan (l’amico fraterno di Skip Battin che dieci anni sarebbe entrato nella line-up dei Byrds per il loro primo tour europeo, NdLYS), la I can ride che pare tirata fuori dal cilindro magico dei Long Ryders, la When I will be gone away (primo pezzo in assoluto scritto dal gruppo) giocata su una bellissima sovrapposizione tra le Rickenbacker di Giancarlo Trabucco ed Emilio Bavagnoli che, abbinate all’incalzante incedere del basso di Giuseppe Napoli, evocano subito l’immaginario sonoro scandagliato dai R.E.M. così come da alcune contemporanee formazioni britanniche che guardano a Roger McGuinn come a un Dio (Commotions, Felt, Smiths, Weather Prophets) e la brevissima It‘s only a song for you che apre ancora una volta lo scandaglio dentro il mare di “Younger than yesterday”.
A supporto del disco, la formazione inanella una serie di date di supporto a nomi altisonanti come That Petrol Emotion, Doctor & The Medics, Go-Betweens, Dream Syndicate e Long Ryders ritagliandosi lo spazio per chiudersi in studio per abbozzare le tracce del nuovo album ma l’improvvisa defezione di Giuseppe Napoli impone una pausa che si traduce quasi immediatamente nello scioglimento del gruppo. Di quelle sessions, solo una incredibile cover di A house is not a motel dei Love verrà pubblicata, in allegato alla prestigiosa fanzine Lost Trails. Un po’ a sorpresa, nel 1990, un loro inedito (qui incluso assieme a tutto quanto prodotto dalla band di Bra) viene inserito in uno dei volumi della Armando Curcio Editore curati da Renzo Arbore e dedicati alla musica italiana. Solo pochi mesi dopo, i R.E.M. danno alle stampe il loro disco di maggior successo. Intitolato, per ironia della sorte, “Out of Time”. Oggi Area Pirata ci dà la possibilità di riascoltare quel piccolo prodigio della provincia italiana e l’occasione per bacchettare Giovanni, Emilio, Giancarlo e Giuseppe per non averci creduto fino in fondo, a quel sogno.

Voto: 7,50/10

Franco Lys Dimauro – Distorsioni 19/03/2015

Preziosa ristampa (con inediti e versioni live) di uno dei migliori album della scena neo psichedelica italiana degli anni ’80. Gli Out of Time provenivano dal cuneese, Bra, e, seppur inseriti in quell’ambito, di psichedelico avevano solo alcuni vaghi riferimenti guardando invece decisamente verso il jingle jangle di Byrds, Flying Burrito Brothers, Love e certi contemporanei come i Long Ryders. I brani sono spesso acerbi ma hanno il furore dell’urgenza di quegli anni e costituiscono una testimonianza di un percorso che fu pressochè unico nel panorama nostrano. L’esperienza degli Out Of Time durò poco, nel 1987 la band si sciolse lasciando incompiuto un previsto secondo album di cui vengono recuperati alcuni brani.

Tony Face Bacciocchi – RadioCoop 20/04/2015

Chi ha vissuto da protagonista la scena rock italiana degli anni ’80, non importa se musicista, discografico giornalista o semplice ascoltatore, ricorderà molto bene il senso di comunità che si respirava in quegli anni e che portava tutti indistintamente a sostenere ogni vagito musicale che veniva alla ribalta e che dava la sensazione che anche da noi, provincia dell’impero, si poteva sostenere una “scena underground” come stava accadendo negli Stati Uniti così come in Inghilterra oppure in Francia e Australia. Erano gli anni del garage revival, del post punk e del paisley underground, ed in ogni angolo del mondo nelle cantine si agitavano schiere di giovani band che cercavano di attualizzare il passato. Era facile che anche da punti remoti della provincia italiana potessero spuntare grandi band che non avevano nulla da invidiare ad analoghe formazioni che nascevano in quegli anni e che avrebbero raccolto successi in ogni parte del mondo (R.E.M., Dream Syndacate, Long Riders, Died Pretty, Green On Red, ecc.). Dalla provincia di Cuneo, per la precisione da Bra , vennero fuori gli Out of Time , un quintetto con solide radici piantate nel country rock americano che diedero alle stampe un album gioiello dal titolo “Stories We Can Tell” che rimase purtroppo unico  e che oggi viene meritoriamente ristampato dalla Area Pirata Records, in una versione espansa con tutto quanto venne registrato in quell’ anno da Beppe Canavero e compagni. Il disco contiene le otto tracce di “Stories”   tre inediti assoluti (i brani Time e Untitled   e Untitled #2 ) più quattro brani registrati dal vivo durante uno show radiofonico ed i brani “Have You Seen The Light Tonight” pubblicato sul primo volume della mitica compilation Eighties Colours e la cover di “A House Is Not A Motel” dei Love di Artur Lee pubblicata a suo tempo come singolo allegata al secondo numero della fanzine Lost Trails curata da Claudio Sorge . Riascoltando oggi questi brani si può apprezzare la grande qualità del songwriting degli Out of Time che, seppure possa sembrare derivativo o troppo ossequioso ai modelli Byrds e Flying Burrito Brothers , riesce ancora ad emozionare grazie a gioielli come “One More Chance”, “Take My Time”, “I Can Ride” e ” Bye Bye Friends” dove il suono delle chitarre Rickenbacker ammalia con le atmosfere sixties sostenute dagli impasti vocali e dagli interventi alla pedal steel guitar del super ospite Ricky Mantoan, già collaboratore in vari tour dei FBB. Altri gioielli da segnalare sono la spettacolare “Thirthy Days On the Road” ed il brano “Brian’s Black Night” dedicato al compianto Brian Jones. L’epopea degli Out of Time durò troppo poco, in pratica solo due anni, e non ci fu un seguito al disco pubblicato in origine dalla misconosciuta Mail Records, per questo riascoltando la ristampa odierna cresce il rammarico per quello che poteva essere e non è stato, ma è doveroso ancora oggi ringraziare Giovanni Cravero , Emilio Bavagnoli , Giuseppe Napoli , Giancarlo Trabucco e Beppe Canavero per avere realizzato questo piccolo grande gioiello di rock prodotto in Italia.

Eliseno Sposato – Sotteranei Pop 18/04/2015

C’è in casa mia una vecchia musicassetta, una di quelle miste che si facevano tanto tempo fa: le si faceva in funzione propedeutica per chi non ascoltava altro che non fossero i grossi nomi del pop da classifica o del rock’n’roll da stadio.
A volte le si faceva anche per far colpo, per via di una presunta diversità culturale, su alcune componenti del sesso femminile e questa vecchia mista di cui parlo era stata fatta proprio a tale scopo e donata alla ragazza, ora donna che, bontà sua, ha deciso di vivere insieme a me.
Su quel supporto, che ora può sembrare desueto, c’erano i grossi calibri che mettevo sempre su ogni mixtape che si rispettasse (Joy Division, Xtc, Clash, Ramones, Stooges, Sonics etc …) ed assieme a questi mostri sacri c’era anche uno splendido brano di un gruppo italiano che mi avevano appena passato: gli Out of Time , quel brano era Take my time ed apriva l’album Stories we can tell .
Quella canzone mi colpì subito, era profonda ma orecchiabile, energica e poetica allo stesso momento, era una canzone adatta a finire su una compila destinata ad una persona verso la quale stava nascendo un sentimento.
Degli Out of Time si parlò parecchio, ed in termini assai benevoli, nell’anno d’uscita di questo album, il 1985, e i riferimenti che si fecero per far comprendere la loro proposta furono i Long Ryders, i R.E.M, i Flying Burrito Bros.e i Byrds; io, a distanza di anni, e dopo parecchi ascolti, aggiungerei di mio pugno la psichedelia crepuscolare dei primi Green on Red e la malinconia acida dei Thin White Rope.
Questa ristampa che viene proposta dai tipi di Area Pirata però non contiene solo l’album sul quale mi sono dilungato e che, sia ben chiaro, era composto da altre sette canzoni tutte altrettanto valide quanto quella che ho citato, ma anche di altri dieci pezzi fra inediti, destinati a compilations, allegati a fanzine e live.
Ed anche questi brani sono di assoluta eccellenza, basti ascoltare la riuscitissima rilettura di un super classico come A house is not a motel dei Love.
Come avrete ben capito, parlando degli Out of Time si parla di musica senza tempo che ha conservato negli anni tutta la sua carica evocativa.
E parlando di questo Stories we can tell & more si parla di una ristampa tanto bella quanto fondamentale.

Voto 8,5/10

Il Santo – Indie-Eye.it 13/04/2015

Nel 1985 uscì il loro unico album “Stories We Can tell”, loro sono una di quelle band chef anno la storia anche se in pochi se ne accorgono, all’epoca suonarono in lungo e largo con gente come Dream Syndacate, That Petrol Emotion, Long Ryders ecc.. oggi esce questo CD che Area Pirata porta per la futura memoria re-intitolandolo “Stories We can Tell & More” aggiungendo a quel disco anche una perla…”Time” e quattro pezzi dal vivo. Il risultato è da brivido…una cosa spettacolare è il booklet pieno di recensioni, interviste dell’epoca e così via… il loro suono lo si può ricercare non solo nelle bands sopra citate ma anche nei REM e nel cosiddetto Pop un po’ brutale che riporta la mente ai Buffalo Tom, l’impronta psichedelica però è molto presente e allora un po’ i Died pretty o Naked Prey ce li vogliamo aggiungere? La copertina è decisamente su quel versante. I pezzi live sono veramente belli e sorprendono per energia e tiro. Il plauso va come sempre a Area Pirata.

Stefano Ballini – Trippa Shake Webzine 15/04/2015

One More Chance reclama il riconoscimento della sua filiazione da “Sweetheart Of The Rodeo”. Brian’s Black

Night omaggia il più talentuoso e sfortunato Rolling Stone con un’armonica pacata e un cantato tenerissimo. Take My

Time esce a reti inviolate dal confronto con i R.E.M. più veraci, quelli di “Murmur” e “Reckoning”.

I Can Ride dondola scampanellante come dei Byrds da honky tonk . Solo per citarne alcune.
L’Italia è periferia dell’Impero, però il Ricky ‘n’ roll le è sempre venuto bene. Chissà perché.

Dopotutto non era musica di origine provinciale: a parte l’isolato caso dei R.E.M. e della sparuta pattuglia georgiana, la maggior

parte dei profeti del jingle jangle e del country-rock proveniva dalla solatia e glamourous  L.A., che non solo aveva

dato i natali al gruppo di David Crosby e Roger McGuinn e ai Flying Burrito Brothers, ma anche ai principali epigoni in ritardo di

decenni (i Dream Syndicate, i Long Ryders e tutta la scena Paisley Underground). Persino in Europa (Smiths) e in Australia (Go

Betweens) la versione rediviva di questo sound era una faccenda urbana. Perché, dunque, da noi no?
Bra, provincia di Cuneo. Trentamila anime all’estremo Occidente d’Italia. Inizio degli anni Ottanta. Qui, in questo spazio e tempo,

cinque giovani uomini decidono di incrociare i loro interessi musicali già parzialmente sovrapposti e di vincere la monotonia

della provincia suonando e componendo sulla falsariga dei prediletti modelli dei  Sixties  (Byrds innanzitutto,

ma anche Flying Burrito Brothers, Buffalo Springfield, CSN&Y e, in generale, il meglio della scena West Coast), confortati dal

ritorno che quelle sonorità stanno all’epoca conoscendo a livello mondiale, sia pure nell’ underground . E, un po’

come nel Nord-Ovest americano dello stesso periodo ( mutatis mutandis , ovviamente), accade che l’essere distanti dal

centro dalle tendenze del momento permette ai musicisti la massima libertà creativa, partorendo una delle più

convincenti prove di ispirazione folk-rock nell’ambito del  Sixties revival europeo (l’Italia, del resto, produsse

autentiche eccellenze di quella stagione). E fu così che uno studente, due artigiani e due impiegati, accomunati dalla

passione per certo rock classico (al punto da battezzarsi come uno dei brani migliori di “Aftermath”; curiosamente non a

firma di Brian Jones, bensì della premiata ditta Jagger-Richards) e stanziati in un’anonima cittadina piemontese, divennero

gli autori di uno dei più memorabili e dimenticati dischi del rock italiano negli anni Ottanta.
Suonato e cantato benissimo, prodotto per stare al passo con le migliori uscite internazionali (c’entra l’intervento di Ricky

Mantoan, collaboratore di Flying Burrito Brothers e Roger McGuinn, e Skip Battin, che coproduce e suona la pedal steel su One

More Chance ), “Stories We Could Tell” venne pubblicato nel 1985 per la minuscola etichetta Mail Records, progenie

discografica ad hoc di un omonimo negozio di dischi di Cairo Montenotte (altrettanto piccolo agglomerato dell’entroterra savonese),

e, pur ottenendo ottime recensioni sulla stampa nazionale, che permisero al gruppo di suonare in giro per la Penisola e financo di

supporto ai Long Ryders, scivolò in un grazioso oblio analogico (paradossalmente bene addicentesi alle sue atmosfere, che su

“Rockerilla” Claudio Sorge definì un “universo sonoro dipinto sovente con i colori tenui della malinconia

e del rimpianto “), dal quale non riemerse più per trent’anni, complice anche l’addio del chitarrista Giancarlo

Trabucco poco tempo dopo l’uscita del disco.
Lo scorso gennaio, però, l’attiva etichetta pisana Area Pirata ha sollevato la pesante cappa del tempo da questo gioiello,

conferendogli dignità digitale. La ristampa assembla gli otto brani dell’LP originale e altri dieci pezzi di varia

provenienza: dalla festosa e un po’ acerba  Have You Seen The Light Tonight (originariamente consegnata alla storica

antologia “Eighties Colours”, che nel 1985 diede l’avvio alla stagione neopsichedelica italiana) a una convincente

cover del classico dei Love A House Is Not A Motel , più quattro notevoli inediti (l’allegro non troppo

di  Time , la psichedelica W alking In A Spanish Land , la remiana  Untitled  e una

Untitled #2 pienamente nel solco del Paisley Underground)  incisi per una seconda uscita discografica mai

concretizzatasi e tre non sgradevoli ma sostanzialmente inutili versioni live di brani già editi, a conferma della

solidità degli Out Of Time anche sulle assi del palco.
Un unico appunto si può fare a questa ristampa. Che, pur avendo dotato il disco di una copertina attraente e capace di

suggerire le due anime Sixties , quella roots e quella psych , della musica che vi è contenuta,

ha lasciato in disparte l’evocativa illustrazione dell’edizione originaria di “Stories We Can Tell”, che ancor meglio

riassumeva il piccolo mondo antico evocato da questi solchi, fatto di punti fermi e solide certezze: fiammiferi tascabili e Lucky

Strike ormai finite nel posacenere, spartiti ancora da completare e testi abbozzati, sognando l’America di “Easy Rider” e

dei grandi trucks  con l’ausilio di una sei corde Rickenbacker, ma sempre con un occhio all’Inghilterra del beat,

incarnata da un santino di Brian Jones. Perché non solo la musica, anche gli oggetti possono raccontare storie; storie

meravigliose e fuori dal tempo. I dischi, per esempio. Questo disco, per esempio.

“Out Of Time” mi piace, ma ve lo lascio. Voi, però, lasciatemi gli Out Of Time.

Orgio – Note In Lettere 12/04/2015

Nel 1985 avevo 13 anni e per ovvie ragioni persi l’unico album degli Out Of Time. Non ho mai recuperato, ché agli

Heartbreakers di Tom Petty ho sempre preferito quelli di Johnny Thunders e solo a sentir nominare i Flying Burrito Brothers mi

veniva l’orticaria. Di base americana, country e folk-rock mi hanno sempre frantumato le palle, ma oggi tocca ammettere che è

stato uno sbaglio perdersi il gruppo di Bra. Come devo dire, però, che è stata una splendida epifania scoprirli 30

anni dopo. Quindi pari e patta. Gli 8 pezzi dell’album (qui ben rimasterizzati) ci mostrano dei ragazzi di talento innamorati del

Rickenbacker sound, del paisley underground a stelle e strisce e della delicata wave austratiana dei Go-Betweens, giusto per fare un

nome. Una passione tradotta in un suono cristallino, evocativo come pochi, con armonie perfette e una scrittura
maturissima per essere roba di esordienti. Partendo dalla fine penso alla soavità di Brain’s Black Night o

all’epica roots-rock della conclusiva Thirthy Days On The Road. Per non dire dell’umbratile eppure luminosissima

onda montante Take My Time che ebbe pure una piccola gloria mainstream a seguito del passaggio televisivo su

L’Orecchiocchio di Rai 3. Nel ristampare questo gioiello Area Pirata ha fatto le cose davvero per bene (do you remember Locatelli?)

dal ricco booklet alle 10 tracce bonus: l’outtake Time, 2 pezzi finiti su compilation, 4 brani live e 3 belli

inediti che più REM non si può. Quando i REM erano un gruppo della madonna.

Manuel Graziani – Sottoterra #2 06/2015

Altro colpo messo a segno dall’etichetta Area Pirata, che con la collaborazione del nostro Roberto Calabrò ha riesumato tutti i brani registrati dagli Out of Time, band piemontese attiva nella metà degli anni ’80 dedita ad un pop-paisley underground malinconico e fortemente evocativo.
Il quartetto pubblicò un solo album “Stories we can tell” e si sciolse mentre stava preparando il secondo Lp. In questo cd sono presenti sia l’album pubblicato che singoli e canzoni per il secondo disco mai nato.
I forti riferimenti al movimento musicale paisley underground, che aveva nei Dream Syndacate, nei Green on Red e nei Long Ryders i suoi principali esponenti, permetteva agli Out of Time di allargarsi ai percorsi tracciati dai Byrds e dai Love di cui fecero la cover di “A house is not a motel” inclusa in questo album. Nei diciotto brani pubblicati troviamo il ballatone pop-country  “One more chance“, “Bye bye friends“, momenti più frizzanti (“Time“) e altri molto malinconici (“Walkin in a spanish land“). Non mancano poi brani profondamente radicati nel rock degli anni ’80 (“Untitled#2“) e una manciata di live.

Vittorio Lanutti – Freakout Magazine 29/07/2015

Va riconosciuto alla label Area Pirata il merito di aver contribuito alla riscoperta (recente) di band “gloriose” dell’underground tricolore anni 80. Band magari poco conosciute, se non dai nerd fanzinari e dagli addetti ai lavori, ma che per un momento, neanche tanto breve, hanno contribuito a mettere sulla carta geografica una vera e propria Scena tutta nostra. Da Nord a Sud. Vivissima. Fertile. Variegata come la Viennetta. Pulsante di ubriacature in arrivo alla spicciolata dall’esterno, declinate però con quel retrogusto un pò ingenuo di chi bazzica il Mediterraneo e tonnellate di dischi sul piatto in cameretta.
Era questo il caso degli Out Of Time, atterrati dalla nebbia di Brà sul pianeta Terra con il bellissimo “Stories We Can Tell” nel 1985. Album qua raccolto con singoli e chicche varie in un prezioso cd rimasterizzato (limitato a 500 copie) e arricchito da un booklet super esaustivo dal nome “Stories We Can Tell & More”. Per i fan di Byrds, Long Ryders, Dream Syndicate e orfani, in generale, del periodo Neo Sixties e Paisley. Un applauso per la cover dei Love “A House Is Not A Motel”, originariamente allegata come 7″ a “Lost Trails”, e per “Time” cavalcata dalle chitarre irresistibili e ritornelli ultra catchy.

Davide Monteverdi – Razzputin Crew Milano 05/03/2016

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