Giobia Hard Stories

Cd
Aprile 2010
Tiratura Cd: 500 copie
–COPRODUZIONE–

Formato: Tag
Etichetta: Area Pirata

10.00

Esaurito

Giobia Hard Stories

(Following their debut album “Beyond the Stars”, the four piece Italian band Giöbia are back with their new release, “Hard Stories”, recorded entirely in analog. The 9 tracks album is influenced by the roaring and dizzy sounds of the 60s and also includes a cover version of an Electric Prunes song)Dopo l’esordio discografico “Beyond the Stars” il quartetto milanese Giöbia torna con un nuovo disco dalle vertiginose atmosfere 60s intitolato Hard Stories (Jestrai e Area Pirata).

L’album, registrato interamente in analogico, contiene nove brani, tra cui una cover degli “Electric Prunes”.
La musica della band è alla ricerca della liaison naturale, fra la cultura dell’eccesso hippy e la cultura dell’eccesso punk. Un suono dissonante e allucinato che trasforma il rumore di una chitarra in una sorta di esercizio spirituale. I Giöbia costruiscono il loro sound attraverso riff di chitarra e farfisa che si intrecciano a figure di basso e batteria dai ritmi ossessivi e sincopati. Il tutto accompagnato da liriche simboliche e visioniarie.

TRACK LISTING:

1) Hard Stories
2) Old Jim
3) Jaws
4) My Soundtrack for Life
5) Electric Light
6) Underground
7) Momentum
8) Are You Lovin’ Me More (But Enjoy It Less)
9) The Cage

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Recensioni:

I Giobia di Milano arrivano dopo qualche tempo di maturazione ed assestamento sonoro al secondo album, che pur mantenendo frammenti di quella modernità che risiede in loro due fonti: Kula Shaker (vedi le bellissime Electric Light e Momentum) e Ozric Tentacles, spostano il tiro verso un suono più immediato come è il garage, qui marcatamente eighties, vedi la stupenda Jaws, tant’è che il loro lavoro avrebbe potuto fare la gioia di J. D. Martignon e della sua Midnight Records ed infatti l’approccio stilistico è vicino a Vipers, Tryfles, Cheepskates.
Di squisita fattura psichedelica inglese è la barrettiana My Soundtrack for Life, mentre riferimenti ai primi Pink Floyd li troviamo in Are You Lovin’ Me More.
Vedeteli dal vivo per gustarne appieno la loro raffinatezza.
Voto 8/10

Enrico Lazzeri – Rumore #221 06/10

Durissimo trovare un attacco non troppo scontato per parlare di questi Giöbia, da Milano (zona Navigli, come tengono a precisare nel loro MySpace). Diciamo che sono, forse, una delle band più interessanti che io abbia sentito da anni, a livello di garage e derivati e insomma… scusate se è poco.
I Giöbia sono di ispirazione indiscutibilmente Sixties-garage, ok. Quindi pensate a ciò che questo concetto vi fa immediatamente venire in mente: così avrete visualizzato l’esatto opposto di quanto potete aspettarvi da Hard Stories.
Esatto: niente organetti con le solite tre linee da Famiglia Addams, niente giri in la-sol-do-re, niente cantati da finto teenager del Midwest de noantri che per una copia di Le Ore ammazzerebbe la famiglia (nonna paralitica compresa), niente canzoni che sembrano cover ma sono solo scopiazzate o uguali ad altre di 40 anni fa… insomma, si è capita l’antifona?
Quello che troverete invece, in questo cd, è una massiccia dose di Sixties garage allucinato e minaccioso; l’immagine che mi sovviene, per tentare di descrivervi il sound, è una sorta di demenziale ibrido tra gli episodi più psichedelici degli Stones, i Count Five migliori, intermezzi che ricordano un album dei Morlocks suonato a 16 rpm anzichè a 33, una jam session tra Roky Erickson e Brian Jones e – vogliamo esagerare? Sì – sprazzi dei Brian Jonestown Massacre più vintage e drogati.
Grande band, grande disco. Spero di vederli presto dal vivo. Voi, intanto, comprate il cd… male non vi farà.

Andrea Valentini – Black Milk Freak magazine 09/04/10

Partiti con l’obiettivo di coniugare le istanze hippy con quelle punk, i milanesi Giobia, dopo l’esordio “Beyond the stars”, con questo secondo lavoro, cambiano strada e virano verso le atmosfere dei ’60.
“Hard stories”, infatti, sembra un disco scritto oltre quarant’anni fa, denso di sonorità vintage, con il suo garage-surf-psichedelico che caratterizza i nove brani presenti in scaletta. La durata stessa di poco più di mezz’ora è tipica dei dischi di quel periodo. La psichedelia è uno degli elementi portanti di questo disco, anche se rarefatta o manifestata con l’organo in primo piano, come in Electric light . Questi quattro milanesi riescono comunque anche ad essere piacevolmente ballabili come nel garage di Underground e nella frenetica Momentum , con un’ottima coda surf. Interessante poi My soundtrack for life , con elementi di pop beatlesiano e di folk inglese. Tra i brani poi troviamo anche un’ottima cover di Are you lovin’me more (but enjoy it less) degli Electric prunes.

Vittorio Lanutti – Kathodik Webzine 04/10

Secondo disco per i Giobia, quartetto proveniente dai navigli milanesi, attivo già da parecchi anni nel panorama underground italiano. Ma la band in questione si differenzia nettamente dal 99% dell’indie/alternative rock che si suona e si consuma nel nostro paese, adottando uno stile coraggiosamente personale e al di fuori dai trend revivalisti del momento, quelli che impongono il ripescaggio degli anni Ottanta e dei suoni wave quale unica via percorribile.
Per fortuna i Giobia non credono a questo imperativo categorico e si rifanno a un altro momento storico della musica popolare; i Sixties, sia americani sia inglesi, e tutto ciò che ne consegue in fatto di musica e atmosfera. “Hard Stories” parla indifferentemente la lingua della Londra psichedelica e della San Francisco acida, anno di grazia il 1967 del ‘flower power’. Con un organo farfisa dalla timbrica caldissima, una sezione ritmica ben affiatata, una chitarra inacidita a puntino, una voce gentilmente psicotica e tocchi di colore offerti da sitar e bouzouki, la band crea nove pezzi di modernariato garage di altissimo livello, intriso di rimandi al surf rock strumentale e in grado di estendersi anche oltre, verso gli anni Settanta, ricollegandosi infine ad alcuni esperimenti vintage più vicini ai giorni nostri.
Difficile descrivere esaustivamente il loro sound. C’è il garage punk primigenio dei “Nuggets”, quello di Seeds, Blues Magoos, 13th Floor Elevators, Electric Prunes: non a caso l’unica cover presente nel disco è un brano di questi ultimi, “Are You Lovin’ Me More”, tratto dallo storico primo album della band americana; i momenti più propriamente garage, come “Old Jim”, “Jaws” e “Underground” sono squisiti omaggi a tutte le band sopracitate. C’è poi la componente inglese, rappresentata principalmente dai Pink Floyd e dai loro domini interstellari, che viene esaltata nei quasi sei minuti di “Electric Light”, preziosa pepita all’LSD sospesa fra sogno e incubo, uno dei momenti migliori del lavoro. Infine tutto questo viene unito dall’attitudine surf presente in molte canzoni, a cominciare dalla title track, incredibile strumentale a metà strada fra Link Wray e i Man Or Astro Man? di “Popcorn Crabula”, altra gemma dell’opera. Nel complesso l’ascolto di “Hard Stories” è paragonabile all’esposizione a una fresca brezza primaverile profumata di canapa e incenso, e mostra come avrebbe potuto suonare un ipotetico ibrido fra Kaleidoscope e Count Five.
Il cd dura solo 30 minuti, sua unica vera pecca. La scrittura è talmente elevata e le note sgorgano così calde e avvolgenti che se ne vorrebbero almeno una decina in più. I Giobia sono certamente un gruppo di genere nonché spudorati revivalisti, ma in Italia un esperimento come il loro non trova paragoni. Rivelazione.

Stefano Masnaghetti – Outune.net 05/10

Secondo disco per i milanesi Giobia.

Il caleidoscopio sessantiano nel quale ci catapulta Hard Stories ha davvero poco da invidiare ai più famosi gruppi anglosassoni di beat psichedelico, se non l’anno d’uscita: tutto è perfettamente in linea con quelli che sono stati i dischi storici del genere, dalle melodie alla registrazione rigorosamente analogica fino alla durata piuttosto breve, ed i risultati sono più che buoni. Le ritmiche ipnotiche della batteria di Stefano Betta ed il basso di Paolo Basurto ben sostengono la chitarra e voce di Stefano Basurto e una nota di merito particolare va all’organo acido della brava Saffo Fontana. Tutto l’album mantiene un tono scanzonato e divertente che, pur senza cambi di stile, fa volare i trenta minuti di musica proposti tra i quali va citata, in mezzo ai brani originali, la cover di “Are You Lovin’ Me More” degli Electric Prunes.
Una dimostrazione che anche un genere ritenuto morto è sepolto da più di quattro decenni può avere ancora la sua ragion d’essere.

Michele Giorgi – Audiodrome 10/09

Dei Giobia, quartetto milanese più precisamente zona Navigli, ne avevo sentito parlare già a metà ottobre dopo l’ottima performance live al Dal Verme, io purtroppo non c’ero; ma la pulce nell’orecchio me l’aveva messa Chiara Fazi… giovane artista romana abituata ad ascoltare bene… basta sbirciare nella sua nuovissima enciclopedia universale.
La mia curiosità – sfamata anche all’uso sfrenato del mio social-network preferito fresco di un nuovo impopolare formato (ai tanti insoddisfatti del nuovo myspace dico solo che, invece di preoccuparsi di informare il mondo quando si porta a pisciare il cane facendolo diventare un cimitero di foto e video che nessuno ha la voglia di guardare, forse basterebbe usarlo più per cercare quello che i così detti amici propongono) – legata ad una serie di casualità e circostanze mi ha portato a vederli a Milano mercoledi 24 novembre.
Forse perché i Giobia hanno giocato in casa… forse perché io ero semplicemente in vacanza… forse perché il palco dove hanno suonato era veramente troppo stretto e il locale veramente piccolo a confronto della mole di pubblico che lo affollava… avranno inciso anche le condizioni glaciali esterne… ma l’ambiente si è subito scaldato… ma ho avuto subito l’impressione che dal vivo Bazu (voce, chitarre, bouzouki, sitar), Paolo (basso), Saffo (organo, violino, voce) e Betta (batteria, percussioni) sanno sapientemente creare quelle acide atmosfere che rimandano a quel flower power tipico della fine degli anni sessanta. Infatti lo spettacolo alla fine dei conti è stato veramente degno di nota.
Finito il live sono tornato a casa con in tasca il loro disco Hard Stories (grazie a chi di dovuto), una coproduzione Jestrai – Area Pirata, che al solo guardare la copertina si ha subito l’impressione di calarsi in quel distorto e vorticoso culto della Giubiana – fatto con roghi di streghe, fuoco e magia oscura – da cui il gruppo prende il nome.
Hard Times è la prima canzone di questo album che ci fa subito capire di che pasta sono fatti i quattro musicisti milanesi… uno strumentalone che corre ad alta velocità con un organo che scandisce i tempi… 3 minuti e 10 secondi… duri, tosti da buttar giù come la consapevolezza che la vita a volte non ti regala un cazzo… squarciati solo da un urlo in stile Sonics dei tempi migliori. In Old Jim i Giobia continuano a spingere sull’acceleratore, lanciando la loro macchina infernale su un’autostrada deserta; ma solo dopo aver fatto la spesa in quell’auto-grill psichedelico caricando il portabagagli con i pezzi più distorti dei Monks o dei Gurus. Dopo due pezzi arriva Jaws… il ritmo rallenta ma rimane sporco e oscuro. Una scarica di alterazione sonora che ti entra in testa come se quei due pezzi che lo procedono te li fossi infilati nel naso in una botta sola… e le mascelle si serrano in quel ghigno riconoscibile al primo ascolto solo da chi sa cosa vuol dire toccarsi con certe sostanze… sottoscritto escluso. My Soundtrack for Life è il primo ballatone di questo album… che mi fa ricordare che esiste una canzone per ogni scena di quel film chiamato vita… quella dei Giobia qui ci lascia l’amaro in bocca, come la malinconica speranza di un futuro migliore. Con Electric Light la luce si affievolisce… gli strumenti sembrano emanare una carica più al neon che elettrica… si accentuano le sfumature con una voce ipnotica che ci aiuta a confonderci meglio… come il suono di un organo deliziosamente distorto da Miss Saffo. Con Underground si supera la prima metà del disco e i Giobia si rituffano in quella psichedelia garage dal calibro dei più distorti Music Machine, sotto l’occhio vigile di Roy Erickson – quello dentro il triangolo magico nella copertina del primo album dei 13th Floor Elevators – che la fa da padrone anche in Momentum… altri 3 minuti e mezzo sconvolti anche dalla voce maliziosamente calda dell’unica componente femminile di questo gruppo che abilmente si alterna tra voce, organo e violino. Are you lovin’ me more (but enjoy it less) è un omaggio agli Electric Prunes… solo per la scelta di questa cover tanto di cappello ai quattro ragazzi dei Navigli.
L’album si conclude con The Cage e mai titolo di una canzone fu più appropriato … si perché i Giobia con questo album ti buttano dentro una gabbia distorta e ti ci lasciano marcire dentro per circa 30 minuti … io finito l’ascolto ho deciso di buttare la chiave… voglio rimanere in ostaggio di questa band che ha tutte le carte in regola per far continuare a parlare di se… alla fine basta poco… basta dare un altro play allo stereo.

Freddie Koratella (Dead Music DJ-set) – Komakino ‘zine 01/11

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