Antonio Cecchi No More Pain – Viaggio Nell’Anima

Book
Novembre 2016
Tiratura: 200 copie – SOLD OUT
1° ristampa: 200 copie – SOLD OUT
2° ristampa: 150 copie – SOLD OUT
3° ristampa: 40 copie (soft touch)- SOLD OUT
4° ristampa: 150 copie (soft touch)

Formato: Tag
Etichetta: Area Pirata

19.00

2 disponibili

Antonio Cecchi No More Pain – Viaggio Nell’Anima

Questa è la storia dei CCM, scritta da uno dei due membri del gruppo che l’hanno vissuta dall’inizio alla fine. È un memoriale dell’hardcore italiano e una storia di formazione.
Da una rimessa nella campagna pisana alle prime mosse del movimento hardcore punk italiano, dal Virus di Milano al CBGB a New York, dai centri giovanili tedeschi e olandesi alla California di Flipside , Black Flag , Maximum Rock’n’roll e Dead Kennedys , lo spaccato di un momento irripetibile dell’underground mondiale.
Front cover: St Francis preaching to the appliances, by Winston Smith
Back cover and lettering: Federico Del Vecchio per Voodoo Design Lab
Book layout: Roby Noise
Libro ricco di foto, flyer! 250 pagine. Edizione limitata a 200 copie in prima tiratura!!

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Recensioni:

Cercherò di esser il più distaccato possibile, visto che all’interno c’è anche il mio contributo. Giunto all’ultima pagina, all’ultimo rigo mi è venuto un nodo alla gola, mai mi era successo leggendo un libro. Devo necessariamente premettere che questo libro, se si è vissuto quel periodo e amato quel genere musicale, ovvero l’HC Punk, è Necessario!
I toscani CCM erano una delle band più estreme dell’hardcore italiano ma anche europeo e mondiale, erano estreme le musiche, era estremo ciò che trasmettevano. Il modo di scrivere di Antonio è molto diretto, non distaccato, nel libro ti parla come se tu, spettatore, in quel momento fossi insieme a lui, questo coinvolge, molto! Quindi bravo, non era una cosa scontata, visto che ci sono alcuni che parlano di quel periodo come se fossero degli eletti unti dal Signore. Si narra di come si sono formati i CCM, dalla prima formazione e i vari cambi di Line-Up al cambio fra Dome e Antonio alla chitarra. I primi concerti, si parte dall’Italia, poi il “sogno americano”, ovvero il tour che i CCM faranno successivamente per due mesi negli States, i rapporti umani stretti con i ragazzi delle cittadine statunitensi che giravano, ma ripeto…si parla di musica, di passione, di fame ma più che altro di rapporti fra persone, questo è l’aspetto che mi ha colpito profondamente, si può parlare di qualsiasi cosa ma se l’essenziale sono sempre i rapporti umani, tutto l’insieme diventa coinvolgente. Il tour negli Stati Uniti diventa estremamente bello, giorno per giorno, sempre con zero soldi in tasca e all’avventura. Poi il ritorno a casa, il cambiamento provocato da quell’esperienza e il successivo tour europeo che segnerà profondamente Antonio, soprattutto in negativo dopo quello che succede nel Regno Unito… l’uscita dalla band, l’ultimo concerto al Casalone…fino a oggi.
Potrei raccontare mille aneddoti descritti nel libro ma voglio che lo leggiate. Quando ho riletto il mio contributo, con sorpresa ho visto che quello che avevo scritto per Antonio è molto ma molto simile a come scrive lui, ma la cosa che mi ha colpito di più è che si interseca perfettamente nel libro, eppure con Antonio ci siamo conosciuto solo ora, a distanza di 30 anni da quel concerto dei CCM al Casalone, tra l’altro l’unico che ho visto dei CCM. Poi ho riflettuto, molto, e ho capito che la similitudine dei nostri scritti su quel libro dipende da un’altra cosa… il momento, quella passione che ha trasformato la vita di entrambi, Antonio da assoluto protagonista con i CCM, io da spettatore di quella band e da protagonista nel mondo della musica underground, ma in altro modo. Come se la stessa passione, la stessa attitudine ci avesse  attraversato e cambiato, entrambi nello stesso modo, anche se in due vite apparentemente diverse. Questa cosa ha condizionato le vite di molti che hanno vissuto intensamente quel periodo, in pochi mi pare, sottolineo in pochi, sono riusciti a trasformare quell’energia in attitudine positiva e ripartire da capo nella vita facendo altre cose. Oggi mi diletto come hobby… con la memoria. Tutto quello che faccio è rigorosamente no profit, a zero Euro, un po’ come se fosse una missione Do It Yourself, un ennesimo tentativo di fare cultura alternativa, senza guadagni, come facevo all’epoca con la fanzine,  infatti quasi tutti mi domandano ma “Ma chi te lo fa fare?”… la risposta la trovate nell’attitudine acquisita grazie a quel periodo, la trovate nei racconti di Antonio, che trasudano passione, passione e ripeto passione, per la musica e poi per i rapporti umani, la voglia di uscire dagli schemi imposti dal Dio denaro… roba da marziani.
Finisco questa recensione ringraziando profondamente Antonio per avermi coinvolto nel progetto “No More Pain”, oggi ho capito quanto, sotto certi aspetti, siamo simili e più che altro ho capito il perché! Il miglior libro di musica underground mai letto (non perché ci sono io) ma perché si mette in primo piano la passione, per l’essere umano, per la musica e la passione per la passione.
Bellissimo!

Stefano Ballini – Trippa Shake Webzine 29/12/2016

 

I libri sulla scena hardcore italica – quella definita old school, quindi relativa agli anni Ottanta – di sicuro non sono merce rarissima, ormai. Tutto iniziò, in un certo senso, con il volume di Philopat “Costretti a sanguinare” (che non era propriamente una biografia, ma ci andava molto vicino – per quanto romanzata)… a cascata, nel corso degli ultimi 20 anni o poco meno, ne sono arrivati diversi altri, che fotografano scene regionali, gruppi e situazioni che contraddistinsero quel decennio circa così glorioso.

“No More Pain” documenta la storia di una delle band più importanti – nonché note a livello mondiale – dell’HC tricolore, ovvero i toscani CCM (Cheetah Chrome Motherfuckers). Il narratore di questa saga è Antonio Cecchi, che della band fu prima bassista e poi chitarrista, un personaggio che trasuda entusiasmo, passione e veracità – oltre che mostrare una certa venatura malinconica e dolorosa per l’epilogo di quell’avventura epica terminata nel più classico dei modi, con la fine della band e, addirittura, l’abbandono della musica da parte di Antonio.

Cecchi, con un linguaggio spigliato – a tratti molto colloquiale, come se si stesse chiacchierando al bar – snocciola pagine e pagine di ricordi, arricchiti da dettagli precisi e puntuali (grazie al prezioso aiuto dei suoi diari, oltre che della memoria di chi c’era); riviviamo così la parabola del gruppo, dai primi timidi passi dell’autore nel mondo della musica come ascoltatore, fino ai tour epici che toccarono gli Stati Uniti e tutta l’Europa. In mezzo a tutto questo ci sono le storie umane, le amicizie, le relazioni, gli scazzi, le soddisfazioni e le frustrazioni, il DIY, la scelta di non fare compromessi e il complesso scenario dell’Italia punk hardcore di quegli anni.

Un libro, dunque, che va a frugare nell’epica (e, perché no, nell’etica) di un mondo finito da anni, gettando luce su episodi sconosciuti o solo tramandati di bocca in bocca, magari deformati – io stesso, di alcune di queste storie, ammetto di aver sentito accenni e versioni più o meno romanzate (o del tutto errate), nel corso degli ultimi decenni. Una vicenda semplice, che inizia come tante altre, e si trasforma in una specie di favola hardcore, con colpi di scena, avvenimenti che a volte sanno di magico (pensiamo solo alla precarietà con cui si scambiavano informazioni e si organizzavano le cose in quegli anni: telefonate, qualche lettera, promesse ricevute da o fatte a perfetti sconosciuti…), fatti della vita e tanta musica suonata/vissuta sempre a viso scoperto e di petto.

Emozionante. E ottimo lavoro dell’etichetta Area Pirata, che per la prima volta si trasforma in casa editrice (di solito si occupa di musica – di quella buona, peraltro).

File under: Granducato Hardcore, CCM, old school, Area Pirata

Ottimo.
Voto 4/5
Andrea Valentini- Rockol 28/12/2016

 

«In quel tour avrei amato e odiato con tutta la mia forza me stesso e la band in cui ormai suonavo quasi da dieci anni e nelle cui idiosincrasie mi rispecchiavo appieno; avrei toccato vette indicibili con amici sinceri sparsi qua e là in tutta Europa, avendo l’onore di condividere con loro palchi e momenti incancellabili. Ciononostante avrei come sempre provato solitudine, sensazione di inadeguatezza e la frustrazione di sentirsi o forse solo credersi incompreso. Ero sull’orlo dell’abisso, ma ancora una volta non me ne rendevo conto; sono sempre stato un paranoico, ma se avessi avuto anche solo lontanamente l’idea di cosa mi aspettava credo che, codardamente, avrei mollato tutto»

La band pisana dei Cheetah Chrome Motherfuckers , più semplicemente conosciuta con l’acronimo CCM, è stata nel corso degli anni ’80 uno dei nomi di punta della scena hardcore, di quel gruppo Antonio Cecchi , autore di questo “No More Pain”, è stato prima bassista e poi chitarrista oltre che fondatore della band, inoltre insieme al frontman Sid è stato quello che ha vissuto tutta la storia dei CCM, dalla fondazione nel 1979 al loro scioglimento ‘provocato’ dallo stesso Antonio con il suo abbandono dopo il concerto del 30 giugno 1987 al Casalone di Bologna.

Un addio alla band che non è giunto improvviso, da mesi Antonio Cecchi manifestava insofferenza per certi riti, qualcosa si era fatalmente rotto nei rapporti personali («Una band è una famiglia disfunzionale» Kim Gordon), finiti i CCM ognuno troverà una propria strada che raramente incrocerà quelle degli altri, un addio che deve essere stato traumatico, se da quel momento non toccherà più quella chitarra che fino a quel momento è stata la sua inseparabile compagna. E forse, azzardiamo, il libro è il tentativo di darsi una risposta, che solo una debita distanza temporale può dare, sul perché di quella fine, su cosa quell’esperienza gli ha lasciato.

Infatti, questo non è solo un libro sulla storia dei CCM, anche se questa c’è tutta, raccontata con la precisione e la passione di un protagonista, né tanto meno un libro sul movimento hardcore, anche se questo lo troverete nel libro, ma ” No More Pain ” nasce soprattutto dal bisogno del suo autore di fare i conti con se stesso, con una parte così rilevante del suo passato, a quasi trentanni dalla sua traumatica e definitiva conclusione. Leggendo queste pagine, che a volte assumono il tono intimo e confidenziale di un diario, sia pur scritto a distanza dagli avvenimenti e col filtro della memoria, a volte indulgente, altre spietato, a volte lucido, altre nebuloso, ma sempre sincero e mai compiaciuto, possiamo così (ri)vivere uno straordinario momento della storia musicale del secolo scorso. Infatti nel film della memoria dell’autore c’è un pezzo di storia, non solo musicale, ma politico, sociale, di costume, che ha segnato molte esistenze; ci sono i centri sociali, gli squat, le fanzine, i locali ormai mitici del circuito alternativo, dal Virus di Milano al CBGB di New York, passando per quelli di Germania, Olanda, Francia, ecc., i protagonisti della scena punk hardcore (Jello Biafra, Henry Rollins, False Prophets coi quali i CCM cementeranno una lunga amicizia durante un lungo tuor americano, D.O.A., No MeansNo, e ovviamente gli italiani Negazione, Indigesti, i gruppi che diedero vita al Granducato Hardcore, per non citare che i primi fra i moltissimi personaggi che popolano le pagine del libro), le traversie di lunghi tour fra disagi materiali, fame, furgoni scassati, furti, risse, e la potente energia di vulcanici gig. Il tutto sempre vissuto con una radicale opposizione alla società borghese, si vive in comunità, si occupano le case, ci si autoproduce al di fuori dai canali ufficiali, soprattutto non si scende ad alcun compromesso nell’opposizione a qualunque forma di fascismo, nell’intransigente opposizione ad ogni forma di potere.

“No More Pain” è un libro importante, anche perché rinnova l’attenzione su una band di grande valore e su un momento decisivo nella musica italiana, un interesse che, immaginiamo, riceverà nuovo impulso dall’annunciata imminente ristampa di “Into the Void” e degli ep dei CCM, fino ad ora introvabili.

Ignazio Gulotta – Distorsioni 04/01/2017

Interviste:

Ricky ‘Flash’ Signorini – Ribelliavita.blogspot.it 22/12/2016

Alcuni giorni fa, il 2 Dicembre per l’esattezza, sono stato ospite di Heintz Zaccagnini e della sua trasmissione Friday Extreme Rock Adventures per intervistare, assieme a Stefano Ballini, il buon Antonio Cecchi, prima bassista e poi chitarrista dei CCM (Cheetah Chrome Motherfuckers), una delle bands più rappresentative della Golden Age dell’Hardcore Italiano. L’occasione ci veniva fornita dall’uscita del libro “No More Pain”[…], già arrivato alla prima ristampa. […]Leggere un libro che parla della Golden Age della scena Hardcore Italiana, scritto da uno dei membri di una band seminale come i CCM, è stata per me una emozione duplice. In primis, perché un racconto come questo non può non focalizzarsi anche sulla scena Pisana, di cui ho in qualche modo fatto parte anche se (per ragioni anagrafiche) a partire da qualche anno dopo (1981-1982, il che mi fa apprezzare moltissimo certi aneddoti sugli albori sella scena…). Ed in seconda battuta perché mi ha fatto conoscere da vicino molti retroscena della vita di un gruppo che ha vissuto tutto l’arco ascendente della parabola dell’hardcore italiano. E non solo.
Per questo ho voluto approfondire un po’ e, complice un pomeriggio piovoso che gli ha impedito di uscire in bici, ho intervistato Antonio, l’unico, assieme a SYD, ad avere attraversato tutta la storia della band Pisana.

1. Ciao Antonio, partiamo subito con i complimenti. Il libro mi ha emozionato, perché mi ha fatto tornare in mente episodi visti da vicino, e conoscere episodi sconosciuti. Una delle pagine più belle racconta il tuo incontro con Syd (“lo si amava oppure lo si odiava profondamente”). Puoi parlarcene? 

Beh, realisticamente, si trattò di un incontro con una persona non solo importante per me, ma di indubbio ed indiscusso valore umano e culturale… senza quell’incontro tante cose non sarebbero mai accadute e la mia vita sarebbe adesso molto più grigiastra e piatta. Sono veramente contento di averlo incontrato, ma devo dire che l’incontro con TUTTI i compagni – nessuno escluso – che hanno intrecciato le proprie strade con la mia, sono stati fenomenali. Lo credo davvero!

1. Tu amavi, ed ami, profondamente Zappa. Come si passa dalla musica di Frank all’HC più estremo, passando per il Banco e gli Upper Jaw Mask?

Si spiega male, vero? Ho anche avuto un’accesa discussione con uno dei Soloni dello zappismo, personaggio parecchio borioso e fuori di testa (una specie di Sgarbi… niente nomi, ovvio). Non lo so come si spiega, ma so solo che OGNI volta che mi intervistavano e chiedevano quali fossero le “mie influenze musicali” (al tempo domanda MOLTO in voga!) rispondevo sempre “Zappa e Minutemen”. Mi rendo conto che voi non li avvertite nella “mia musica”, ma per me era, è sempre stato, e sempre sarà così. Essere influenzati da qualcuno non significa NECESSARIAMENTE copiarne lo stile musicale o i vestiti: si può anche condividere tutta un’altra serie di cose. In inglese esiste un aggettivo che potrebbe aiutare a spiegare il concetto: “inspirational”. FZ & The Minutemen were very inspirational musicians to me!

2. Nella storia di CCM ci sono due batteristi storici, ed uno che non ce la fece a passare la prima “audizione”. Ce ne parli?

Mi riallaccio a quanto detto prima: impensabile immaginare la prima versione di CCM senza Vipera… ragazzino prodigio ribelle, o la seconda senza Alex Fantinato, compagno ineludibile di momenti meravigliosi e drammatici nel secondo line-up. Del “terzo” non dico nulla, salvo che fu il nostro bersaglio preferito per feroci prese di culo, per mesi e mesi.

3. Dietro al vostro nome ci sono diversi aneddoti, dal fatto che vi abbia posto ufficialmente nella lista delle bands dai nomi più bizzarri al mondo […] , allo spelling sbagliato sul primo EP, ai problemi in Canada, passando per l’incontro di Marc col titolare del nome Vuoi parlarcene un attimo?

Beh, inizialmente il nome fu inventato da due ragazzi (io e Syd) che sognavano di suonare assieme in una band, e fu, col senno di poi, una cosa abbastanza goliardica (parlo per me: in qualunque band avessi suonato, avrebbe dovuto contenere l’espressione “motherfucker”). Quando giunse poi il momento di cambiarlo, visto che eravamo divenuti “una band seria” era ormai troppo tardi e tutti ci conoscevano già con quel nome. È significativo invece notare come negli USA il nostro nome di creasse problemi, essendo giudicato “troppo esplicito” e solitamente “oscurato” nei flyers dei concerti… Negli ultimi tempi ci piaceva l’idea di sostituirlo con Chernobyl Crew Mutineers, ma non ci fu tempo materiale per farlo…

4. Nel tuo libro dedichi molto spazio anche ai Teste Marce, l’altra band che ha avuto un ruolo importante nella tua vita. Tra CCM e Teste Marce, cosa sceglieresti potendo tornare indietro nel tempo? Ci sono possibilità di rivedere in azione questi gruppi? E il Cecchi da solo?

Il Cecchi “da solo” è solo un povero coglione che non sa fare nulla… ha avuto la gran botta di culo di incontrare tutti gli altri, che gli hanno permesso di vivere avventure musicali ed umane non comuni. Eravamo varie sostanze che unite fra loro producevano dinamite. Se tornassi indietro rifarei TUTTO momento per momento, con pari amore per tutte le bands e per chi mi fa fatto soffrire, perché il prodotto finale della miscelazione è sempre stato DI GRAN LUNGA superiore al dolore provato.

5. C’è una foto messa in rete dal Fantinato di voi due che a me fa pensare ad un legame profondo tra voi. Tra Syd, Dome, Ale, Vipera, Sandro… a chi eri più legato allora ed a chi oggi?

Vedi sopra! Ero legato ad ognuno di loro da un legame fortissimo, e la foto che menzioni ritrae un semplice momento scherzoso nel mezzo al turbine dei disastri europei. Alcuni di noi erano semplicemente più espansivi di altri: questo mi piaceva in Ale Fantinato più che in ogni altro, ma il legame “culturale” con Syd era entusiasmante…

6. Cosa fanno oggi gli ex CCM?

Tra di noi, l’unico che ancora fa le stesse cose di allora è Dome, chitarrista affermato. Anche Sandro è rimasto nel settore delle produzioni musicali, così come Vipera che ancora suona con successo in varie band. Fantinato abita a Vancouver e si occupa di cani (suo antico amore); io perdo tempo e voce facendo il domatore di pre-adolescenti ribelli che non vogliono saperne di studiare la mia materia (un karma non da poco… direi!)

7. I CCM possono essere considerati uno dei gruppi seminali dell’HC europeo e probabilmente oltre, ma forse non sono mai stati pienamente compresi. A mia memoria non esiste una cover fatta da altri gruppi, mentre per altri è stato scherzosamente istituito il divieto di cover (penso a “Questi Anni” dei Kina” o a “Scenderemo nelle strade” dei Nabat, presenti in rete in mille versioni). Pensi che ci sia un perché?

Beh… forse tanto seminali non lo siamo non credi?? ahahaha Scherzi a parte (ah.. perché stavi scherzando??) non è facile cantare come faceva Syd e forse i nostri brani non sono mai stati particolarmente “orecchiabili”… e comunque noi tutti – le bands di allora, intendo – venivamo da

un odio profondo verso cover e gruppi che scimmiottavano gli altri, quindi quanto dici te mi pare la logica conseguenza… ricordo perfettamente quando uscì Stepping Stone fatta dai Minor Threat e le facce allibite di tutti noi (per poi finire per amarla!!!)

8. Un paragrafo del libro è dedicato a Milano, Bologna, Poviglio. Perché?

Perché sono tre città che sono state “pietre miLITARI” (come diceva Vipera) nell’HC italico, ognuna a modo suo e per motivi diversi. Tutte e tre inoltre, fanno parte della mia storia personale. Perché sono state fondamentali per la crescita esponenziale dell’HC in Italia, e ancor di più per la mia. Sono rimasto legato profondamente ad ognuna delle tre per diverso tempo.

9. Il miglior gruppo con il quale hai suonato, e quello con cui avresti voluto suonare

Mi è IMPOSSIBILE rispondere ad una domanda del genere! Non esiste UNA SOLA band, ma diverse con le quali ho avuto il PRIVILEGIO di poter condividere il palco. La seconda parte invece è facile, quasi banale! Avrei voluto suonare con Minor Threat e Minutemen, non ho ALCUN dubbio!

10. La cover del libro è “St. Francis preaching to the Appliances” (©Winston Smith 2014). Come sei riuscito ad avere questo piccolo capolavoro?

Io e Winston siamo amici dal lontano dicembre 1983, e ci siamo sentiti abbastanza regolarmente sin da allora. Gli dissi che avevo in mente di scrivere in libro e che per continuità iconografica avrei adorato mettere una sua opera sulla copertina. Lui mi mostrò diversi lavori ma St Francis mi folgorò all’istante, per mille motivi, non ultima

quella che tutti noi dipendiamo – ahimè – da macchine, e che quindi un San Francesco moderno non potrebbe che predicare a loro, vista la sudditanza degli umani nei loro confronti.
Winston Smith è un artista a 360 gradi, ed un’ottima persona che – forse non tutti lo sanno – parla anche un ottimo italiano, avendo vissuto a Firenze per un certo periodo. Le sue mail contengono sempre una bella serie di parolacce (vedi I ringraziamenti nel libro…)

11. Tu sei un prof di Inglese, che si occupava di fare traduzioni per importati case editrici. Quando pensi di metterti a lavorare sulla versione inglese del libro?

… non appena trovo qualche folle che abbia intenzione di distribuirlo e pubblicizzarlo come si deve… Negli States non puoi improvvisare: se una cosa non è promossa a dovere, tanto vale non farla nemmeno. In realtà non escludo di iniziare autonomamente a farlo, magari appena sarò in ferie!

12. Il vostro Tour USA per noi che eravamo in Italia rappresentò una “vittoria” di cui andavamo fieri. Dal libro si ha un’altra percezione, che unisce la gioia di esserci (episodio SF: Biafra, ad esempio, presente anche lui a nostra insaputa, subito dopo il gig mi dirà che era dai tempi dei Germs che non vedeva niente del genere, live! La sola parola Germs ci riempie di orgoglio e carica, figurarsi come accettiamo tale paragone) ad un senso di sconfitta. È così?

Ti ringrazio per la definizione, e per aver mai provato una cosa simile nei nostri confronti. D’altronde – come possiamo spiegarlo a chi non c’era? – al tempo vuoi per il GDHC, per le fanzine e per il tempo che trascorrevamo costantemente assieme, eravamo UNITI in modo incredibile. Ed ognuna delle “vittorie” di ognuno di noi, apparteneva a tutti gli altri. Chi non c’era non può immaginare l’assoluta mancanza di invidia fra noi bands toscane (ma anche italiane, potrei dire con certezza) oppure la gioia reale nel vedere amici che pubblicavano musica meravigliosa e poi la portavano in giro sui palchi, davanti ad altri amici. Lo so, sembro un idealista, ma c’eri anche tu: le cose andavano così o no? (verissimo, ndRiki). “L’amaro” del tour è quello della Vita, che prende le cose che hai mitizzato e te le fa stramazzare sulla terra. Ma la Gioia batté comunque il Dolore 90 a 0.

13. Le esperienze peggiori le avete vissute in UK o altrove?

Suonare in Inghilterra – e NON in Galles, sottolineo – mise in luce un

atteggiamento verso le bands che davvero non fece onore a suoi abitanti, visto quali capolavori tale nazione ha sempre partorito, qualunque fosse il genere musicale. Nel mio libro ho accennato a come, in quel momento, gran parte della gente andasse ai gig con il solo scopo di cercare rissa, spaccare tutto ed ubriacarsi (non necessariamente in questo ordine). Siamo fortunati perché in Italia successe invece l’inverso. Quando uscii dalla band, a Pisa c’era il Macchia Nera ed iniziava l’era dei concerti “allargati” a molta più gente “regolare”, che veniva con spirito positivo. Gli idioti non sono MAI mancati ovunque siamo stati, così come i problemi: ma l’Inghilterra fu davvero letale, quantomeno per me…

14. Ad un certo punto Giuseppe Codeluppi, l’indimenticato ed indimenticabile chitarrista dei Raw Power, purtroppo scomparso, ti propose di seguire la sua band per il loro secondo tour negli USA. Era il 1985, e tu non te la sentisti, proponendo come bassista il Paolucci, che suonava con te nelle Teste Marce e, dopo aver seguito la band di Poviglio in quel tour, suonò con loro dal 1986 al 1999, avendo la soddisfazione di accompagnarli in più di un tour negli USA, nonché in Europa. Hai mai avuto rimpianti per non avere seguito Paco Codeluppi e i Raw Power in USA?

Mai! Neppure per un attimo. Il mio posto era con CCM così come quello di Ale Paolucci – a quel tempo – era con Raw Power.  Niente è stato casuale nella mia “emivita musicale”. Credo fermamente nel karma e ringrazio di aver avuto l’illuminazione giusta nel momento giusto.

15. Nel libro oltre che dei gruppi storici, che più ti aspetti (Kina, Negazione, Raw Power, Indigesti) parli molto bene anche dei Wardogs. Non tutti però li conoscono. Perché questa dedica particolare?

Perché io ho una teoria ben precisa a riguardo: e cioè che MENO una band sa

suonare, se essa è rivoluzionaria e formata da RAGAZZI che ci credono fermamente, TANTO più essa non può che essere grandissima!
Ti cito il caso più eclatante ed acclarato, ma potrei farne decine: gli Stooges NON SAPEVANO suonare un cazzo eppure Funhouse vale quanto Freak Out! di Zappa che è invece un capolavoro di maestria, genio e tecnica… Nei Wardogs non esisteva un singolo “vero musicista”, eppure erano travolgenti. Quindi, in sostanza, erano la riprova concreta che NON OCCORRE essere Steve Howe per poter calcare un palco. C’erano anche i primi SenzaSterzo, il cui Jack ancora una volta dava ragione alla mia teoria…

16. Nel libro mi ha colpito il fatto della foto scattata a Venlo, esposta in un museo contemporaneo di NYC. Titolo dell’opera “Hardcore Boy in Yellow”. Come è andata?

Beh, è andata come racconto nel libro :D. Mi sono ritrovato come soggetto in una mostra d’Arte Moderna! Oramai ero divenuto NON un’icona (con valore positivo), ma piuttosto un PAGLIACCIO da esibire come archetipo del rintronato “hardcore boy” (però andavo per la trentina…. altro che Boy!!)

17. Nel tuo libro parli di personaggi storici del GDHC, Tetano, Pazzia, Ettore…  e non GDHC, ……. che fine hanno fatto

Nel mio libro ho scelto di non parlare di persone che magari non hanno alcuna intenzione di apparirvi, quindi qui rispetto la loro privacy. Mi sono dilungato solo su Ettorino perché, tristemente, non è più tra noi, e non mi pareva giusto ignorare un amico con cui ho passato momenti incredibili (nel libro cito solo alcuni episodi). Ettore scoppiava di voglia di vita, ma era ossessionato dal dover essere nichilista per risolverne i dilemmi nel modo più veloce (e più indolore per lui… ma NON per noi)

18.
20 Giugno 1987: Casalone, Bologna. La fine…. Due parole per chiudere?

Beh… il Casalone, l’ultimo incredibile nostro brano suonato, inedito fino a

Febbraio 2017… il silenzio alla fine dello stesso… tutto mi è apparso come la fine di un Macrociclo, di una collaborazione fra anime – fino ad allora – gemelle.
Sono fiero di aver fatto parte di CCM per dieci anni. La mia anima gli appartiene ancora e niente potrà mai e poi mai strapparmene il ricordo meraviglioso. Sono anni che mi hanno formato umanamente, dandomi l’entusiasmo per condurre le mie vite seguenti. Spero che chi leggerà il libro capisca fino in fondo quanto, alla fine, io abbia cercato di dire. Grazie comunque a chi vi si avvicinerà, pur – magari – disprezzandolo.